di Gianluca Riccio – Forse sapete già cosa sono gli NFT, i cosiddetti “token non fungibili”, ma sapete come sono nati e perchè? Per chi non li conoscesse ancora, gli NFT sono “token” (gettone) che diversamente da una criptovaluta non sono fungibili. Non si possono scambiare. Per questo un NFT equivale, praticamente, ad un certificato di proprietà su un oggetto digitale (un contenuto, una foto, un video ecc.).
Per il momento gli NFT sono un grande, grande business. In rete si è già visto mettere in vendita di tutto: dal primo tweet agli articoli del New York Times (battuto a mezzo milione di euro) passando per le foto di Marco Montemagno.
Secondo il CEO di Glitch Anil Dash, l’intera storia degli NFT è iniziata come un progetto messo insieme per un hackathon ( un evento al quale partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell’informatica) che aveva abbinato artisti e programmatori.
L’anno era il 2014, scrive Dash, quando in quel progetto fu abbinato all’artista digitale Kevin McCoy. Eravamo all’apice della cultura Tumblr. Una comunità chiassosa e stimolante di milioni di artisti e fan condivideva immagini e video del tutto privi di attribuzione, compensazione o contesto. Una soluzione a quel problema divenne il seme della loro idea.
“Nelle prime ore della notte,” scrive Dash, “McCoy e io avevamo messo insieme una prima versione di un mezzo supportato da blockchain per affermare la proprietà su un’opera digitale originale. Allora demmo alla nostra creazione un nome ironico, non un acronimo come NFT. La chiamammo grafica monetizzata”.
Né Dash né McCoy brevettarono l’idea, anche se McCoy trascorse alcuni anni successivi a evangelizzarla. Ma entrambi immaginavano la loro creazione come un modo per dare agli artisti un maggiore controllo sul loro lavoro. La tecnologia avrebbe consentito agli artisti di esercitare il controllo sul proprio lavoro, di venderlo più facilmente, di proteggersi più fortemente contro altri non autorizzati ad appropriarsene.
Progettando la tecnologia specificamente per l’uso artistico, McCoy e Dash speravamo di impedire che diventasse un altro metodo per sfruttare i professionisti creativi. Ma con gli NFT niente è andato come doveva. “Il nostro sogno di responsabilizzare gli artisti non si è ancora avverato, ma ha prodotto un sacco di clamore sfruttabile commercialmente,” dice Dash.
I “proto NFT” concepiti da Dash e McCoy sono affascinanti perché esplicitamente orientati agli artisti e non necessariamente così interessati ai profitti, a differenza del mercato NFT che abbiamo ora.
L’attuale boom degli NFT potrebbe essere così se volessimo. Potremmo usare questa tecnologia per avvantaggiare davvero gli artisti e ricompensarli per il loro lavoro.
L’unica domanda è: lo faremo?
L’AUTORE
Gianluca Riccio, classe 1975, è direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria, copywriter, giornalista e divulgatore. Fa parte della World Future Society, associazione internazionale di futurologia e di H+, Network dei Transumanisti Italiani. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it, una risorsa italiana sul futuro.