Nella fase iniziale della pandemia da causata dal virus SARS-COV-2, che ha causato la pandemia COVID-19, si è capito che oltre alla patologia direttamente causata dall’infezione del virus, una delle complicanze mortali era la risposta infiammatoria incontrollata dell’organismo all’infezione. Tale complicanza è uno dei maggiori attori per l’evoluzione nefasta della patologia. In questo scenario in tutto il mondo si sono sperimentate diverse strategie per attenuare o eliminare tale risposta all’infezione, l’obiettivo era far sì che l’organismo durante l’infezione in corso non avesse complicazioni correlate e che riuscisse rispondere all’infezione e risolverla (generare anticorpi e immunizzarsi). Uno di questi approcci è stato iniziato a Napoli utilizzando un anticorpo monoclonale chiamato Tocilizumab, approvato per il trattamento dell’artrite reumatoide.
L’anticorpo è stato utilizzato in pazienti non intubati affetti da covid-19. Nella fase inziale, come già detto più volte la sperimentazione si è fatta senza controlli negativi (placebo pazienti non trattati con il farmaco o pazienti trattati con la terapia standard e utilizzati per controllo). I risultati incoraggianti hanno portato la comunità scientifica e gli organismi di vigilanza a voler effettuare uno studio clinico rigoroso per determinare la vera efficacia terapeutica di questo approccio con questo farmaco.
Si è quindi disegnato uno studio clinico randomizzato con Tocilizumab (24 centri ospedalieri e 6 regioni del centro nord, promotore azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia) somministrato in fase precoce rispetto alla terapia standard in pazienti COVID19 con polmonite, con l’obbiettivo di testare l’efficacia del Tocilizumab su circa 398 soggetti.
Lo studio doveva concludersi dopo l’arruolamento di tutti i 398 pazienti. Su sollecitazione dell’AIFA e su richiesta del Data Safety Monitoring Committee, è stata fatta un’analisi intermedia su circa un terzo dei previsti con l’obiettivo di valutare se, sulla base dei risultati osservati, la terapia mostrasse in maniera rigorosa un beneficio rispetto alla terapia standard e quindi valesse la pena di continuare l’arruolamento.
Il primo paziente è stato arruolato il 31 marzo 2020 e l’ultimo (126) il 25 maggio 2020. Dopo l’arruolamento di 126 soggetti, un terzo della corte che doveva partecipare allo studio, si è effettuata l’analisi intermedia dei risultati. Il 19 giugno L’AIFA ha rilasciato la dichiarazione dei risultati. Lo studio è stato interrotto perché non c’è nessuna evidenza di miglioramento della patologia a due settimane dall’inizio della terapia tra soggetti che hanno preso il Tocilizumab verso quelli trattati con la terapia standard (28.3% vs. 27.0%), nessuna diminuzione dell’aggravamento della patologia cioè ricovero in terapia intensiva tra i due gruppi (10.0% verso il 7.9%) nessuna diminuzione della mortalità a trenta giorni (3.3% verso 3.2%)
In conclusione, i risultati intermedi hanno dimostrato in maniera inequivocabile che il Tocilizumab non ha nessun effetto benefico sui pazienti affetti da covid-19, di conseguenza da un punto di vista medico non ha significato terapeutico utilizzarlo per questa patologia. Lo studio quindi è stato fermato in maniera precoce rispetto al disegno originale, salvaguardando pazienti, tempo e risorse.