Uno dei farmaci più promettenti di oggi per combattere l’invecchiamento ha una lunga e tortuosa storia. Nel 1999 la Food and Drug Administration americana ha approvato la “rapamicina” come immunosoppressore per prevenire il rigetto degli organi trapiantati.
Successivamente gli scienziati hanno scoperto però che l’effetto interessava tutti i tipi di processi biologici. Nei mammiferi la rapamicina infatti agisce sulla funzione immunitaria e sui processi infiammatori.
Gli esperimenti fatti subito dopo dimostrarono che la rapamicina aveva prolungato la durata della vita dei vermi e dei topi.
Ora, potrebbe fare la stessa cosa negli umani?
Al momento, non esiste un modo certo per testare il potenziale della rapamicina al fine di rallentare l’invecchiamento umano. Ma i ricercatori si sono concentrati su un aspetto significativo dell’invecchiamento: il declino della funzione immunitaria. In questo modo possono studiare se la rapamicina migliora la funzione immunitaria nelle persone anziane.
Joan B. Mannick è cofondatore e dirigente medico di un’azienda biotecnologica chiamata resTORbio, fondata nel 2017 che sta conducendo studi clinici proprio su questo argomento. Il Dott. Mannick afferma che entro un anno avremo la prima risposta su quanto la rapamicina incide come agente anti-invecchiamento.
Per ora questo studio ha dimostrato che il farmaco ha migliorato la funzione immunitaria del 20%. Un dato sorprendente se si pensa che questo farmaco veniva utilizzato come antitumorale per sopprimere il sistema immunitario dopo i trapianti di organi. Se invece il farmaco viene usato in dosi molto più basse, migliora la funzione immunitaria.
L’invecchiamento non è menzionato tra le malattie, questo perché non esistono cure in grado di contrastarlo. Ma i nuovi sviluppi scientifici potrebbero mettere l’uomo davanti ad una revisione della nostra storia e del nostro sistema sociale.