di Paolo Ermani – Se ci fosse ancora qualche dubbio sul fatto che bisogna cambiare immediatamente sistema di produzione e distribuzione energetica, l’ennesimo enorme blackout verificatosi in America Latina il 16 giugno scorso, lo chiarirebbe definitivamente. Ancora una volta un sistema archeologico, rigido, centralizzato, gigantesco ha mostrato i suoi piedi di argilla. A causa probabilmente di malfunzionamenti delle gestione informatica a monte di grandi centrali idroelettriche, a catena si sono spenti due paesi: l’Argentina e l’Uruguay, più una serie di altre città in Paraguay, Brasile e Cile e cinquanta milioni di persone sono rimaste senza corrente elettrica.
Ma come è possibile che nel 2019 con sistemi tecnologici sofisticati, con capacità, intelligenze e possibilità a non finire, ancora siamo qui a commentare eventi del genere? Il perché è presto detto, l’energia è un business enorme e ha creato una centralizzazione di potere che impedisce l’applicazione di misure e azioni che ne mettano in discussione i profitti.
L’energia centralizzata significa un pericolo costante e fragilità, perchè in caso di guasti, attacchi terroristici o simili, un paese si ritrova in ginocchio nel giro di qualche ora, così come è successo anche in Italia. La cosa più incredibile è che guardando ai paesi dell’America Latina salta subito all’occhio la loro eccezionale potenzialità geoclimatica. Con sole e vento, potrebbero alimentarci qualsiasi utenza ma solo in un ottica di decentralizzazione che significa una numerosissima serie di sistemi sparsi ovunque che producono direttamente laddove c’è il fabbisogno, cioè fare l’esatto contrario di centrali gigantesche che fanno percorrere all’energia elettrica centinaia se non migliaia di chilometri, con conseguenti costi, impatti ambientali, dispersioni, inefficienze e fragilità.
Ma se si inizia a decentralizzare l’energia, così come sarebbe possibile fare subito da ogni punto di vista, tecnico, economico e sociale, poi potrebbe venire in mente che si può diventare più autonomi nelle decisioni che riguardano il territorio e non dipendere dai consigli di amministrazioni di questa o quella multinazionale e governi legati ad esse.
E se si diventa più autonomi energeticamente si è anche meno ricattabili, si spende di meno, si inquina di meno, si salvaguarda di più l’ambiente. Ma soprattutto non si pagano più le bollette ai soliti noti e questo non è accettabile per chi fa del profitto l’unico scopo della propria esistenza.
I paesi dell’America Latina avrebbero potuto dare una reale svolta energetica decentralizzata, puntando decisamente alle immense risorse rinnovabili che hanno ma invece hanno perseguito e perseguono modelli ancorati a mentalità e sistemi fallimentari che non fanno altro che aumentare costi e problemi. Questi paesi, così come l’Italia, hanno tutto a portata di mano per lasciarsi alle spalle i dinosauri dell’energia.
L’AUTORE
Paolo Ermani – Scrittore, formatore, consulente energetico, ideatore di progetti innovativi in ambito lavorativo e ambientale. Da metà degli anni ottanta si occupa di ambiente, energie rinnovabili, risparmio energetico e idrico, uso razionale dell’energia, tecnologie appropriate a cui poi ha aggiunto tematiche relative agli stili di vita, all’economia, il lavoro, l’alimentazione, l’agricoltura, la facilitazione. Ha lavorato e si è formato nei più importanti centri europei per le tecnologie alternative. Fra le centinaia di iniziative che ha realizzato è tra i fondatori dell’associazione Paea, del giornale web Il Cambiamento e del progetto sul lavoro Ufficio di Scollocamento. E’ autore dei libri: Pensare come le montagne (scritto con Valerio Pignatta), Ufficio di Scollocamento (scritto con Simone Perotti), Solo la crisi ci può salvare (scritto con Andrea Strozzi).
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