di Beppe Grillo – Il sistema punitivo che stiamo adottando è antico come il mondo, ma soprattutto non funziona.
Non funziona e mi pare che sia sotto gli occhi di tutti. Senza fare molta retorica, mi pare che si rubi, si stupri e si uccida ancora. Sono passati millenni, faraoni, re e interi imperi sono scomparsi, eppure in fondo in fondo parliamo sempre delle stesse cose.
Diamo qualche numero. L’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone parla chiaro, dalla fine del 2015 ad oggi il numero dei detenuti in Italia è cresciuto davvero tanto, ben 6.098 in più. Il sovraffollamento è pari al 115,2%. Inoltre molte sezioni di molti carceri non vengono utilizzate.
Ma il vero problema è un altro, sono i recidivi. Ad oggi sono un numero incredibile. Su circa 58.000 detenuti, solo il 37% non avevano mai commesso altri crimini, per il restante 63% le mura dello Stato erano già note, addirittura il 13% di loro (più di 7000 persone) avevano dalle 5 alle 9 precedenti carcerazioni.
Di tutti i detenuti, circa il 35% sono in custodia cautelare. Cioè quasi 20.000 persone. Aumentano anche chi viene arrestato preventivamente ed è ancora in attesa di una sentenza di primo grado. Oggi sono più di 10.000 persone. Sono numeri incredibili, allarmanti.
Inoltre rinchiudere una persona per anni dentro una stanza, oltre ad essere una tortura senza senso, non porta a nulla e non capisco quali risultati dovrebbe portare. Oggi è chiaro. Se non fosse chiaro abbiamo i dati a dircelo.
É chiaro che servono mezzi alternativi.
E non sono l’unico che sta cercando di far capire che il sistema non va così come è costruito. Nils Christie è un criminologo norvegese e ha dedicato gran parte del suo impegno accademico a far emergere le distorsioni del sistema penitenziario.
Sono pienamente d’accordo con lui quando dice che le carceri sono una struttura progettata per infliggere legalmente dolore, uno strumento di controllo sociale e un vero e proprio business.
Un business fantastico, perché continua a crescere e se si ferma, non c’è che fare una nuova legge e creare altri criminali.
Per prima cosa dobbiamo domandarci quale significato ha il crimine, dobbiamo capire che tipo di fenomeno è. Ma la domanda più scomoda è un’altra. Il crimine esiste?
Sicuramente esistono degli atti disumani, nessuno lo mette in dubbio, ma se analizziamo bene cosa intendiamo per crimine scopriamo che c’è dell’altro.
Per esempio proprio Nils Christie negli anni ’50 compie una ricerca sulle guardie dei campi di concentramento norvegesi. Quegli uomini che sotto l’occupazione nazista stavano facendo il loro dovere, qualche giorno dopo diventano dei criminali.
Ma come percepivano, quelle guardie, le loro azioni? Come consideravano i propri atti mentre li compivano? Erano crimini, secondo loro? La risposta è no.
Il crimine è difficile da definire esattamente. Non è qualcosa che esiste in natura, qualcosa di dato, finito, di certo. É qualcosa che esiste nelle nostre menti e con il tempo cambia assumendo nuove forme e colori.
Dobbiamo capire che lo stato delle nostre prigioni non solo è il prodotto del crimine, ma dello stato generale della cultura di un paese.
Dobbiamo tendere a un mondo a carceri zero, o almeno, al minimo possibile. Come il Canada che con il welfare ha dimostrato come sia possibile limitare il ricorso alla detenzione e indirizzare il denaro verso lo stato sociale invece che verso lo stato penale.
Quindi in questa prospettiva, la soluzione penale diventa una delle possibilità, non più la sola. La punizione diventa una, ma solo una, tra diverse opzioni. La pena non è mai la riposta adeguata al crimine per la sua soluzione; anzi si limita a fabbricarlo.
La prigione, il più delle volte, è dannosa per gli individui. La cosa importante nella politica carceraria di un qualsiasi paese civile sarebbe cercare misure alternative al carcere e molto spesso questo significa accompagnarli verso uno standard di vita accettabile: provare a cercare un’abitazione, cercare alternative nei periodi di disoccupazione, rieducare, reintegrare, far si che si possa ricreare una vita. Per davvero.