Oggi faccio outing. Sono costretto dagli eventi. So che circola una mia foto ed è stata proposta a giornali del calibro del Corriere della Sera, del Giornale, di Libero e del Corrierino dei Piccoli. E’ una foto che gira da anni. Risale al 1989. Potrebbe distruggere la mia carriera. So che vi farete delle domande. Perché non ho mai parlato dell’incontro avvenuto in una caserma dei Carabinieri? Perché questo scatto è stato occultato per anni? Perché non ho avvertito il mio manager? Perché, dopo la cena, Iva Zanicchi continuò a presentare:”Okay il prezzo è giusto” al mio posto? E ancora, perché ho dato del ladro a Craxi in televisione a cui seguì il mio esilio televisivo? Chi me lo ha fatto fare? A quest’ultima domanda posso rispondere: me l’hanno ordinato la CIA e Antonio Di Pietro, che già allora agiva nell’ombra. “Un complotto organizzato a tavolino per distruggere la Prima Repubblica, con annesso pentapartito, per assecondare interessi anche internazionali, cui non erano estranei gli Stati Uniti”. Confesso, non sapevo ancora di Berlusconi e del bibliofilo Dell’Utri, ignoravo che frequentassero l’eroe pluriomicida Mangano. Non ero al corrente dei rapporti tra la mafia e la politica.
Come potevo sapere che il numero 1816 della P2 era in realtà Berlusconi? Non avevo ancora conosciuto Marco Travaglio e i suoi libri da 10 tonnellate. Credevo che i presidenti del Consiglio crescessero sotto i cavoli. Ero giovane e inesperto. Mi sono fidato. E ho mangiato, lo ricordo con esattezza, come se fosse ora: bomba di maccheroni, montone con le olive, nasello alla palermitana, babbalucci a picchipacchi, fichi d’india ai lamponi, una cassata e cannoli alla siciliana. Il conto lo pagò con un pizzino un signore gentile e taciturno che mi dissero in seguito essere Provenzano detto “U tratturi“. Una personalità che trattava con le massime istituzioni di allora (e forse anche di adesso) e girava con la scorta. Alla cena eravamo in sei, di una persona si può vedere solo una spalla, ma quella giacca azzurra sulla destra parla da sola: era Vittorio Feltri. Ma lui non c’entra, l’ho invitato io, e anzi lo ringrazio per aver taciuto in tutti questi anni. La signora vicino alla patta di Berlusconi ha una impressionante somiglianza con la D’Addario, ma non posso dire chi fosse, sono un gentiluomo. So che Berlusconi era contento di averla sotto il tavolo. Finita la cena, il cui colloquio è riservato, ma posso rivelare che accettai tutte le avances e diedi a Berlusconi il conto corrente svizzero intestato a mio fratello, Provenzano fece una proposta che non si poteva rifiutare e credo infatti che tutti l’abbiano accettata con entusiasmo. Quando uscimmo salutai l’autista di Berlusconi, un tal Renato Schifani, che era rimasto sul marciapiede al freddo ad aspettare. Ecco, ora vi ho detto tutto. Anch’io tengo famiglia.
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