Rigor Montis, giorni fa, ha dichiarato al Wall Street Journal, punto di riferimento dell’informazione economica americana “Se il precedente governo fosse ancora in carica, ora lo spread italiano sarebbe a 1.200 o qualcosa di simile“.Con questa affermazione ha chiarito che lo spread non dipende, e non dipendeva, dalla salute economica dell’Italia. E’ un fenomeno esogeno. Da novembre 2011, il nuovo governo, installato con un colpettino di Stato, con Monti senatore a vita la sera e presidente del Consiglio il giorno dopo, ha ottenuto una caduta verticale del disastro lasciato da Berlusconi. Non si pensava fosse possibile, ma i tecnici ci sono riusciti. E’ esplosa la disoccupazione, il PIL è negativo (quasi -3 per cento), le imprese chiudono a centinaia di migliaia, i tagli ai servizi sociali sono materia di decreto quotidiano, le tasse divorano i redditi. L’Italia è in ginocchio. Lo stesso debito pubblico aumenta con la stessa velocità di quando c’era Tremorti, circa 100 miliardi all’anno. Lo spread, con questa situazione pre Grecia, dovrebbe essere almeno a 1.000, invece è sotto controllo (si fa per dire) intorno a quota 500. Chi lo tiene sotto controllo? Chi lo faceva salire?
Che il Paese sia fallito non ci piove, che lo fosse prima di Rigor Montis neppure. Il governo tecnico si sta muovendo però come un curatore fallimentare chiamato dai debitori per garantire la loro libbra di carne. E i debitori sono i Paesi che possedevano il 50% dei titoli italiani nel 2011, mille miliardi di euro: 500 la Francia, circa 200 la Germania. Se un anno fa saltava l’Italia, saltavano anche l’euro e la Francia. Quest’ultima si trovava inoltre, a causa dei referendum, a non poter far più cassa con sette centrali nucleari nel nostro Paese e l’acquisizione della gestione dell’acqua italiana attraverso Veolia e Suez. Un debito (di altri) spaventoso sul gobbo e la scomparsa di affari per centinaia di miliardi. Era necessario prendere tempo e ridurre il rischio. Nel 2012 la BCE ha destinato 1.000 miliardi di euro alle banche. Quelle italiane hanno comprato titoli su titoli di Stato dall’estero, strangolando allo stesso tempo le imprese che non hanno ricevuto un euro. Ci siamo ricomprati (in parte) il nostro debito pubblico e oggi i titoli all’estero sono scesi a circa il 35% del totale. Non basta. Sarà necessario vendere pezzi dello Stato, di grandi imprese ancora in mani italiane. Un’asta europea per tenere basso lo spread. Ma questo che c’entra con il il rilancio della nostra economia? Un referendum sull’euro e sulla ristrutturazione del nostro debito è sempre più necessario. Ci vediamo in Parlamento (nonostante Napolitano). Sarà un piacere.
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