La Danimarca ha deciso di abolire l’IVA del 25% sui libri, la più alta al mondo, per affrontare quella che il governo definisce una crisi della lettura. L’imposta sul valore aggiunto verrà completamente azzerata, con un costo stimato di circa 330 milioni di corone all’anno. La scelta nasce da un dato preoccupante, secondo le valutazioni dell’OCSE infatti, quasi un quarto dei quindicenni danesi non è in grado di comprendere testi semplici.
Il provvedimento danese riporta al centro una questione universale, quanto si legge, e quanto si capisce di ciò che si legge, in Europa? I dati Eurostat mostrano che in media poco più della metà degli europei legge almeno un libro all’anno, ma le differenze tra Paesi sono marcate. In cima ci sono Lussemburgo, Danimarca ed Estonia, tutti sopra il 70%, mentre in coda si trovano Romania e Cipro, con meno di un terzo della popolazione. L’Italia, con appena il 35%, si colloca stabilmente tra le ultime posizioni.
I numeri confermati dall’ISTAT aggiungono sfumature: nel 2023 il 40% degli italiani sopra i sei anni ha letto almeno un libro, in crescita rispetto all’anno precedente, ma quasi la metà di questi si ferma a una o due letture all’anno. I lettori forti, quelli che leggono almeno un libro al mese, sono poco più del 15%. Leggono soprattutto i giovani e le donne, ma purtroppo la platea resta fragile e discontinua.
Anche la comprensione della lettura è monitorata a livello internazionale. Le prove PISA (Programme for International Student Assessment, i test OCSE che ogni tre anni valutano le competenze di quindicenni in oltre 80 Paesi) rivelano che in Italia il 21% degli studenti non raggiunge il livello minimo di comprensione, un risultato leggermente migliore della media OCSE ma comunque preoccupante, significa che più di 1 ragazzo su 5 rischia di non saper interpretare testi fondamentali per la vita quotidiana. Nei Paesi nordici le performance sono in media più alte, ma anche qui la quota di studenti in difficoltà resta significativa.
Se guardiamo agli adulti, il quadro italiano si fa ancora più serio. Secondo l’indagine PIAAC, che misura le competenze della popolazione tra i 16 e i 65 anni, il 35% si trova ai livelli più bassi di alfabetizzazione funzionale. Non si tratta solo di leggere poco, non si hanno gli strumenti sufficienti per comprendere e usare le informazioni scritte nella vita di tutti i giorni, dal lavoro alla partecipazione civica.
In questo scenario la Danimarca non è sola. La Repubblica Ceca ha abolito l’IVA sui libri dal gennaio 2024, e l’Irlanda già da tempo prevede un’esenzione totale. Al di fuori dell’Unione Europea, politiche simili sono attive in Regno Unito, Norvegia, Messico, Corea e Thailandia. Altri Paesi hanno scelto vie intermedie: Malta applica l’1%, il Lussemburgo il 2%. Una tendenza comune è trattare i libri come beni essenziali, paragonabili per importanza a farmaci o generi alimentari di base.
La scelta danese appare così come un segnale politico forte, che si inserisce in un movimento più ampio di riconoscimento del valore sociale della lettura. Ridurre il prezzo dei libri eliminando un’imposta pesante è un passo immediato per aumentarne l’accessibilità, ma non basta da solo. Gli stessi studi OCSE mostrano che la lettura è un’abitudine che si costruisce in famiglia, a scuola, nelle biblioteche e nei luoghi di incontro, e che si rafforza se la società nel suo insieme la considera un valore condiviso.





