Access Now, l’associazione internazionale senza scopo di lucro, per la salvaguardia dei diritti umani e per un Internet che sia aperto e gratuito per tutti, ha da poco pubblicato il rapporto KEEP IT ON, in cui rivela che i governi di tutto il mondo bloccano sempre di più l’accesso ad Internet, spesso per reprimere il dissenso, ancor di più durante le proteste o le elezioni.
Nel rapporto si conta un numero record di 213 blocchi di accesso ad Internet (Internet Shutdown) in tutto il mondo nel 2019. Questo numero in rapida crescita è cresciuto da 196 nel 2018 e solo 75 nel 2016.
Con il termine Internet Shutdown Access Now identifica l’interruzione intenzionale di comunicazioni Internet o elettroniche, rendendole inaccessibili o effettivamente inutilizzabili, per una popolazione specifica o all’interno di un luogo, spesso per esercitare il controllo sul flusso di informazione.
A differenza dei metodi più sofisticati che i paesi come la Cina impiegano per censurare e controllare le comunicazioni digitali, i tipi di Internet Shutdown descritti da Access Now sono disconnessioni forzate. Oltre a blackout di Internet, il rapporto parla di casi di governi che bloccano l’accesso alle piattaforme di social media durante periodi specifici.
“Indipendentemente dal fatto che i governi stiano utilizzando questi blocchi come strumento per mettere a tacere i contestatori, nel tentativo di contenere le proteste o per nascondere le violazioni dei diritti umani, il 2019 è stato l’anno in cui ci sono stati più violazioni, durante proteste, elezioni o un discorso politico di un avversario”, spiega Berhan Taye, analista di Access Now.
Il rapporto rivela una tendenza crescente che dura nel tempo, con 35 casi di disconnessioni forzate nel 2019 che durano più di 7 giorni. Sri Lanka, Turchia, Zimbabwe, Iran e Iraq sono alcuni dei paesi in cui il blocco è durato più di una settimana.
Lo stato africano del Ciad, ha avuto il più lungo blackout di internet della storia: 472 giorni. Da marzo 2018 a luglio 2019. L’incredibile arresto si è concentrato principalmente su piattaforme di social media e servizi di messaggistica come WhatsApp.
Il presidente del Ciad, Idriss Deby, ha istituito per la prima volta il blocco nel 2018 mentre il parlamento del paese stava raccomandando un emendamento alla costituzione che consentiva a Deby di rimanere in carica fino al 2033. Deby ha affermato che le restrizioni di Internet erano progettate per mantenere la sicurezza della nazione di fronte alle minacce terroristiche.
In Myanmar (Birmania) sta invece continuando un black out da oltre 240 giorni. L’arresto è stato giustificato dal governo del Myanmar come risposta alle azioni violente dei militanti rohingya, che sarebbero stati accusati di utilizzare i servizi di messaggistica su Internet per coordinare gli attacchi alle forze di sicurezza.
Da Agosto 2019 a Gennaio 2020, invece, il primo ministro indiano Narendra Modi, ha bloccato completamente l’accesso a Internet nella regione indiana del Jammu e Kashmir. Letteralmente da un giorno all’altro, gettando nel caos la vita di milioni di persone, strutture ospedaliere, scuole etc… (Una fonte ha recentemente riferito a Buzzfeed che il blackout di Internet ha alimentato il commercio locale di stupefacenti nella zona di Kashmir). Dopo 175 giorni, la Corte suprema indiana ha ritenuto costituzionalmente sospetta la restrizione. Tuttavia, ad oggi l’accesso a Internet 3G e 4G è ancora sospeso nella regione. Si naviga con Internet 2G, l’accesso ai social media è ancora bloccato e solo alcuni siti Web sono visibili, quelli approvati dal governo.
Tanti sono gli stati che hanno visto la violazione dei propri diritti, molti gli arresti da parte delle forze dell’ordine nei confronti dei contestatori e e per fortuna ci sono anche vittorie in tribunale negli stati come il Sudan, India, Zimbabwe e Pakistan, in cui i governi sono stati accusati poichè sono andati oltre le loro autorità legali. Queste battaglie legali stanno diventando sempre più importanti per stabilire se l’accesso a Internet debba essere dichiarato un diritto umano fondamentale.
Nel 2016 il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione che afferma che l’accesso a Internet è un diritto umano e che condanna i governi a interromperne l’accesso. Naturalmente, questa era una risoluzione non vincolante, intesa come una linea guida per le nazioni.
Nel 2019 il filosofo dell’Università di Birmingham Merten Reglitz ha presentato un caso esauriente per stabilire l’accesso a Internet gratuito e senza censure come un diritto umano fondamentale. Reglitz ha sostenuto che nel 21esimo secolo l’accesso a internet non è un lusso, ma un modo vitale di ottenere informazioni e di esercitare la libertà di parola. Quando l’accesso a Internet è negato o bloccato da un governo, soffoca attivamente i diritti umani fondamentali dei cittadini.
Per scaricare il rapporto completo:
KeepItOn 2019 Internet Shutdown Report