di Fabio Massimo Parenti
Il contesto mediatico
La narrazione sul pericolo cinese – descritto come minaccia nell’Asia-Pacifico e minaccia esistenziale per gli Stati Uniti d’America – ha prodotto una lunga litania sino-fobica nei media occidentali1. Essa è emersa in modo coerente negli anni Novanta e Duemila, quando la Cina stava crescendo come potenza regionale e nuovo player globale2. Non solo l’aspetto militare, ma anche quello valoriale, in contrapposizione alla dottrina liberale dei diritti umani, sono stati costantemente stigmatizzati in senso negativo. Il messaggio di fondo di queste incessanti campagne mediatiche è che nessun paese, specialmente quelli dell’Asia, sarebbe al riparo dai tentativi cinesi di acquisire un’egemonia regionale, se non transpacifica. Le Filippine, il Vietnam, l’India, non sarebbero al sicuro. “Dai 176 titoli di notizie negative sulla Cina raccolti tra agosto 2010 e novembre 2011, si vede una litania sino-fobica essenzializzata attorno alle sue sinistre intenzioni e pratiche”3.
La questione delle relazioni Cina-Filippine, soprattutto sulle controversie marittime, si inserisce in questo quadro pregiudiziale anticinese. In realtà, gli interessi geopolitici ed economici statunitensi sono all’origine di queste volute distorsioni interpretative: le Filippine erano un possedimento coloniale degli Stati Uniti e uno spazio di contesa con il Giappone durante la seconda guerra mondiale. In questo contesto, gli Stati Uniti non hanno mai rinunciato ai propri interessi strategici in Estremo Oriente, dalle incursioni coloniali della fine del XIX secolo in Cina e nelle Filippine … gli Stati Uniti hanno combattuto più conflagrazioni in Asia che in qualsiasi altra regione del mondo.
Dispute marittime e interferenze degli Stati Uniti
Prima del 1930 nessun paese ha messo in discussione la sovranità cinese sull’area delimitata dai “9 trattini”, così riconosciuta anche da precedenti trattati internazionali. Tuttavia, coi conflitti della seconda guerra mondiale e la più estesa dominazione esercitata dagli Stati Uniti, le dispute su questo spazio marittimo strategico hanno cominciato a prendere forma, ampliandosi negli anni Settanta-Ottanta e giungendo fino ai nostri giorni.
Tradizionalmente, i presidenti filippini si sono mostrati scettici nei confronti della Cina, anche a causa della loro subordinazione de facto alla leadership e all’influenza degli Stati Uniti nell’area Asia-Pacifico. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, le relazioni diplomatiche sono andate migliorando gradualmente e si inseriscono nel quadro del miglioramento delle relazioni tra ASEAN e Cina. In effetti, l’ASEAN ha dovuto affrontare lo stesso enigma filippino nelle relazioni internazionali contemporanee: cercare una posizione di equilibrio tra gli Stati Uniti e la Cina, al fine di soddisfare gli interessi nazionali ed evitare la trappola strategica di un posizionamento sbilanciato a favore di un’unica grande potenza. Questa strategia è stata definita “soft hedging”4.
Il punto di svolta risale al 9/11/2001. Mentre gli Stati Uniti hanno accelerato il loro interventismo militare, con il pretesto di sconfiggere le organizzazioni affiliate ad Al-Qaeda nel Sud-Est asiatico, la Cina ha sviluppato il suo consenso usando un’azione diplomatica soft, fatta di accordi bilaterali, aiuti economici e programmi cooperativi in comune, come nel caso dell’esplorazione petrolifera con le Filippine (JMSU). Pertanto, le Filippine, come l’ASEAN (è del 2010 l’accordo di libero scambio CAFTA), hanno iniziato a trattare la Cina come partner e non più come una minaccia.
Le dispute marittime e insulari nel Mar Cinese Meridionale hanno coinvolto molti paesi e non hanno mai raggiunto una soluzione, un compromesso finale. Cosa c’è in ballo? Petrolio, gas, rotte marittime strategiche (trilioni di dollari di traffici) e zone di pesca di grande valore. Di recente, le tensioni sono riemerse con manifestazioni filippine contro la presenza e l’attività cinese nelle isole Spratley (nel sud del Mar Cinese Meridionale). Queste proteste, che hanno coinvolto non più di mille manifestanti, sono state largamente usate dai media per stigmatizzare la presenza della Cina in quello spazio, sfruttando l’opposizione di alcuni ex funzionari governativi che denunciano la presenza di navi cinesi5.
Le proteste locali non hanno diminuito l’impegno di Duterte volto a rafforzare i legami tra Filippine e Cina, come confermato durante l’ultimo incontro a Pechino. Duterte ha adottato un approccio non conflittuale alle dispute territoriali con la Cina, mentre cerca finanziamenti e investimenti per le infrastrutture. Durante l’ultima visita, i due paesi hanno firmato più di 19 accordi, tra cui investimenti per un valore di 12 miliardi di dollari che dovrebbero generare più di 21.000 posti di lavoro. Questo approccio è pragmatico e coerente con la Dichiarazione di condotta (DoC) sul Mar Cinese Meridionale, firmata con i paesi ASEAN nel 2002. Inoltre, è coerente con il nuovo ruolo assunto dalla Cina a livello internazionale.
Ovviamente, la Cina non può vedere di buon grado le esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti, svoltesi a inizio di aprile6, e non può accettare le incursioni regolari della marina statunitense negli spazi marittimi contesi. Alcuni esempi: il 27 ottobre 2015 un cacciatorpediniere della US Navy (USS Lassen) sbarcò entro 12 miglia dalle Isole Spratly, nonostante i ripetuti avvertimenti delle autorità cinesi di non perseguire manovre che sarebbero state considerate una deliberata provocazione nei confronti della Cina. Simili violazioni delle regole internazionali di navigazione sono state ripetute di recente e questo certamente non aiuta a mitigare le tensioni esistenti7.
Il Mar Cinese Meridionale e l’arbitraggio internazionale 2013-2016
A seguito di alcuni eventi accaduti tra il 2012 e il 2013 (come ad esempio l’arresto di pescatori cinesi da parte delle autorità filippine e l’intensificazione delle attività cinesi nei pressi della barriera di Scarborough), le Filippine hanno invocato un arbitrato internazionale unilaterale. A questo arbitrato, la Cina, in linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sul mare (articolo 298), ha deciso di non partecipare, emettendo una dichiarazione di eccezione facoltativa – una procedura ampiamente utilizzata anche da altri paesi. Il 12 luglio 2016, il tribunale arbitrale dell’Aia – molto di parte nella sua composizione – ha riconosciuto le posizioni delle Filippine sulla disputa nel Mar Cinese Meridionale, ignorando le argomentazioni della Cina sulla dubbia legittimità internazionale della procedura e sulla sostanza delle questioni trattate. La Repubblica popolare ha affermato in diverse occasioni che il riconoscimento del Tribunale è nullo e non ha alcun effetto vincolante: la Cina non accetta, né riconosce la validità della decisione in oggetto.
Le ragioni storiche cinesi
I documenti disponibili confermano la lunga sovranità cinese sugli arcipelaghi all’interno della cosiddetta “linea a nove tratti” – uno spazio marittimo che comprende oltre l’80% del Mar Cinese Meridionale. I cinesi hanno scoperto gli arcipelaghi a partire dalla dinastia Tang [per un’eccellente revisione scientifica della letteratura disponibile, si faccia riferimento a Jiangming Shen, “La sovranità della Cina sulle isole del Mar Cinese Meridionale: una prospettiva storica”, rivista cinese di diritto internazionale, 20028. Si veda anche il documento del Ministero degli Affari Esteri9 che dettaglia non solo la vasta letteratura cinese sulla sovranità nel Mar Cinese Meridionale, ma anche il riconoscimento occidentale, testimoniato, ad esempio, da enciclopedie e annuari europei, statunitensi e giapponesi10]. Ancora più recentemente, verso la fine dell’occupazione giapponese, vari documenti di diritto internazionale (comprese le dichiarazioni del Cairo e di Potsdam, rispettivamente del 1943 e del 1945) riconoscevano la necessità di restituire le isole ai cinesi. Sebbene fosse, in quel momento, il riconoscimento dato alla Repubblica di Cina (guidata dai nazionalisti di Chiang Kai Shek), che fu poi sostituita dalla Repubblica popolare cinese (guidata dal Partito comunista dal 1949), l’ipotesi della sovranità di altri paesi del Sudest asiatico su questo mare non sembra avere una base storica. Inoltre, tre trattati internazionali – firmati nel 1898, 1900, 1930 – hanno chiarito che il territorio filippino si trova ad est del 118° meridiano, mentre le isole cinesi, Nansha e Huangyan (Scarborough Shoal), si estendono a ovest dello stesso. Tuttavia, dagli anni Settanta, le Filippine, il Vietnam e altri paesi della regione hanno occupato militarmente alcune isole dell’arcipelago, violando il principio del rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale (stabilito nella Carta delle Nazioni Unite). Successivamente, con la nascita e l’attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nel 1982 è emerso il nuovo problema della delimitazione delle acque territoriali tra Cina, Vietnam e Filippine. In questo contesto, il parziale riavvicinamento degli Stati Uniti al Vietnam e il consolidamento delle relazioni militari tra Stati Uniti e Filippine hanno confermato che le critiche occidentali miravano a screditare e contenere la Repubblica popolare.
Le schermaglie tra Cina, Vietnam e Filippine avvennero nel 1974 e nel 1988, ma solo verso la fine degli anni Novanta la Cina decise di essere più assertiva per riconquistare i diritti sulle isole del Mare, precedentemente riconosciute a livello internazionale.
Il governo cinese ribadisce, in conformità con i principi fondanti del diritto internazionale, che la Cina non accetta alcuna intermediazione vincolante di terzi nella regolamentazione delle controversie territoriali e delle delimitazioni marittime. Anche in seguito alla decisione dell’Aia, e nonostante le numerose pressioni geopolitiche, la Cina continuerà ad agire secondo i principi del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale e della gestione pacifica delle controversie nel Mar Cinese Meridionale. Continuerà a lavorare direttamente con gli Stati coinvolti in queste controversie, attraverso negoziati e consultazioni, con l’obiettivo ultimo di mantenere la pace e la stabilità nella regione.
1 Jack Fong, “A Critical Analysis of the Symbiotic Relationship between Sinophobia in Online News and United States’ Foreign Policy on China”, ISA Symposium for Sociology, 2019
2 Rommel C. Banlaoi, Philippines-China Security Relations: Current Issues and Emerging Concerns, Yuchengco Center, 2012.
3 Fong, cit.
4 Rommel C. Banlaoi, op. cit.
5 https://news.abs-cbn.com/news/03/21/19/filipino-group-files-intl-court-case-vs-chinas-xi-over-crimes-against-humanity
7 https://www.pri.org/stories/2019-04-26/philippines-security-risk-over-escalating-tensions-between-us-and-china-south
8 Available online http://chinesejil.oxfordjournals.org/content/1/1/94.full.pdf
10 Among others, see the Worldmark Encyclopedia of the Nations, the Worldmark Press, USA, 1960; the New China Yearbook, the Far Eastern Booksellers, 1966, Japan.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è professore associato (ASN), insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos