di Torquato Cardilli – Le bugie, specialmente in politica, nascono con un inesorabile destino: fatta poca strada (per questo si dice che hanno le gambe corte) vengono messe a nudo e debbono ritirarsi coperte di vergogna di fronte alla verità. Diceva il cancelliere prussiano Bismarck che ci sono tre momenti nella vita in cui l’essere umano è preda e vittima di questa maledizione del dire con molta facilità tante bugie e sciocchezze in mala fede: prima delle elezioni, durante la guerra e dopo una battuta di caccia.
Sono bastati 8 mesi di governo per far cadere la maschera di quelli che dicevano di essere pronti. Bugia enorme a coronamento di quelle sciorinate in modo patetico, senza un briciolo di pudore, durante tutta la campagna elettorale ed oltre. Bugie funzionali a raccogliere momentanei consensi, cioè cambiali destinate ad essere presentate alla scadenza e che se non pagate non tarderanno a ritorcersi contro i traenti che le avevano emesse con arrogante sicumera.
Ricordiamone qualcuna tra le tante: non venderemo mai l’Alitalia allo straniero (infatti dopo aver ridotto alla metà le dimensioni della compagnia di bandiera, hanno ceduto il 40% alla Lufthansa); attueremo il blocco navale alla Libia (non una singola nave o barcone è stato fermato); perseguiremo gli scafisti nel globo terracqueo (non risulta che sia stato arrestato e portato di fronte alla giustizia un solo trafficante); i clandestini saranno rimpatriati (su 100 mila clandestini ne sono stati rimpatriati meno di una decina); prima di firmare il MES dovranno passare sul mio cadavere (è tutto da vedere); i nomadi si chiamano così perché debbono “nomadare” (qui si raggiunge l’apice del neologismo deficiente); siamo e saremo per la certezza della pena (infatti il ministro di giustizia vuole ulteriormente allargare le garanzie a favore del reo e non delle vittime del reato); è nostro compito di patrioti evitare la sostituzione etnica, salvando il ceppo italiano (nessuno ha ricordato un po’ di storia a questi patrioti: neppure l’impero romano difendeva il presunto purismo etnico, che è vietato dalla nostra costituzione); aboliremo le accise (infatti stanno ancora tutte là dove sono state messe sin dalla guerra d’Etiopia); aboliremo il pos (la marcia indietro è stata umiliante); abbasseremo le tasse (se ne saranno accorti quelli che le pagano veramente?); condurremo una lotta senza quartiere ai grandi evasori (ci sono evasori, che se la ridono, per 170 miliardi all’anno, pari ai fondi in prestito del PNRR); ci opporremo alle pressioni europee per l’applicazione della direttiva Bolkestein del 2006 sulle spiagge (clamorosa la retromarcia a basso regime per non incorrere in sanzioni); consideriamo l’atteggiamento della Commissione sui controlli concomitanti sul PNRR della Corte dei conti un’ingerenza ingiustificata (anche in questo caso la cortina fumogena stesa sull’argomento si diraderà al primo esame della spesa) ecc.
Chi abbia seguito i vari tg avrà rilevato che la premier si è rimangiata tutte le promesse. Come se non bastasse, parlando a vanvera, ha aggiunto altri spropositi tipo: il salario minimo è contro gli interessi dei lavoratori. Nulla viene fatto per stroncare il caporalato o per estirpare il precariato a 4 euro l’ora, che anzi viene istituzionalizzato col decreto del 1 maggio.
La Premier ha citato dati e teorie economiche che non stanno in piedi tipo: le armi che mandiamo all’Ucraina sono senza aggravio per il bilancio perché vengono da nostri magazzini (come se questi non dovessero essere riforniti).
Sul piano concreto dei provvedimenti interni ha conosciuto solo le parole “decreto” e “voto di fiducia” mettendo la museruola ai parlamentari di maggioranza e relegando in un angoletto il dibattito parlamentare. Disprezzando i poveri (che da utili idioti l’hanno votata) e lisciando il pelo dei ricchi e degli evasori condonati (figure sovrapponibili), ha eretto un muro di no contro il salario minimo e il reddito di cittadinanza, ha preso misure contro i rave come se si trattasse di bande di terroristi, ha insistito sulla “flat tax” che è un regalo ai ricchi, ha elevato il tetto al contante, ha definito le tasse dei piccoli contribuenti “pizzo di Stato”.
In Italia su poco meno di 60 milioni di abitanti ci sono ben 16 milioni tondi di pensionati, 3 milioni e mezzo di dipendenti pubblici, cioè oltre 19 milioni e mezzo di contribuenti sicuri (con i familiari fanno circa 27 milioni di cittadini) che pagano le tasse, o il “pizzo di Stato”, senza scappatoie, fino all’ultimo centesimo, che non conoscono scudi o condoni. Le loro tasse rappresentano la parte più cospicua delle entrate tributarie che servono a tenere in piedi quel poco di stato sociale garantito a tutti i cittadini, anche agli evasori.
Gli elettori hanno votato di pancia, senza uno sforzo di ragionamento o di senso di responsabilità, ma incominciano a fare i conti con l’evidente insufficienza delle retribuzioni, causa principale del calo demografico. Dall’anno prossimo saranno obbligati a nuovi sacrifici perché scatterà la nuova politica di austerità obbligatoria con lo scopo della riduzione del debito pubblico che divora all’anno 80 miliardi di interessi e che oggi ha raggiunto lo spaventevole livello di 2.790 miliardi di euro, oltre il 140% del PIL. Proviamo a scrivere questo debito interamente con i numeri: 2.790.000.000.000 e vediamo se quelli che l’hanno votata sanno leggere questa cifra senza esitazione.
Il futuro non offre prospettive di eliminazione del precariato perché i partiti di governo non lavorano per la soluzione dei problemi del popolo, ma solo per garantirsi con il familismo e con una coorte di fedelissimi cortigiani, al di là del merito, il proprio potere che si espande a macchia d’olio su tutti i centri decisionali, su ogni posto che serve per tenere sotto controllo l’informazione.
Ai problemi endogeni, di per sé drammaticamente rilevanti, se ne aggiungono altri comprati a caro prezzo sul mercato delle relazioni internazionali come la partecipazione alla guerra Ucraina-Russia, che ha ampiamente danneggiato la filiera produttiva e ci ha imposto ulteriori privazioni. Tutti le avremmo sopportate volentieri per rimettere in sesto l’Emilia-Romagna e le zone alluvionate non per svenarci con l’invio di armi da impiegare in una guerra ripudiata dalla nostra Costituzione.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.