di Torquato Cardilli – Di fronte alle guerre vere con morti, feriti, profughi e distruzioni, a quelle economiche che lasciano sul terreno macerie di capitali e di fallimenti, a quelle sociali di milioni di disoccupati, rifugiati, discriminati o perseguitati da regimi dispotici, a quelle diplomatiche per la presenza al tavolo delle decisioni, bisogna chiedersi quale sia oggi la strategia della politica estera italiana.
La nostra classe governante, incline a spaccare il capello in quattro sulle alchimie dei rapporti di forza tra partiti, sulle poltrone da spartire, sui codicilli illeggibili di leggi rompicapo, sembra non rendersi conto che la politica estera è la principale attività che condiziona la sicurezza, l’economia e la coesione sociale.
Essa non può sfuggire all’obbligo del perseguimento dell’interesse esclusivo della nazione, come da giuramento dei ministri di fronte al Capo dello Stato, e quindi non può non considerare il diffuso sentimento popolare di aperta disapprovazione verso il coinvolgimento in una politica muscolare di guerra e per l’assenza nei luoghi del negoziato diplomatico che parla di pace.
Il nuovo Governo, dopo sei mesi non ha ancora avviato un aperto e approfondito dibattito parlamentare sulle sfide presenti e sugli obiettivi già posti dalla comunità internazionale sull’ambiente per i prossimi 20 anni; ha preferito invece la strada delle approvazioni spot su singoli provvedimenti, tipo invio delle armi all’Ucraina, senza riscuotere un voto positivo sul complesso delle linee di politica estera.
L’opinione pubblica non conosce quali siano le direttrici in tema di debito pubblico e di rapporti con la BCE, di rispetto delle prescrizioni europee sui vari settori per i quali siamo soggetti a multe e a procedimenti di infrazione, di utilizzo concreto dei fondi del PNRR, di riesame complessivo in chiave europea del superamento della convenzione di Dublino, in che cosa consista la proclamata lotta ai trafficanti di migranti, cosa prevede in tema di respingimenti dei clandestini, quale sia il più volte citato piano Mattei per l’Africa, quale l’impegno in termini finanziari e di personale militare verso l’Ucraina e la Nato.
Recitare tra di noi la solita giaculatoria che l’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea e della Nato, è un pilastro dell’europeismo e dell’atlantismo, che mantiene fede agli impegni, ha un sapore di minestra riscaldata, servita nella speranza di difendere il seggio nel G7 prima che gli altri si affrettino a metterci alla porta o a forzarci, obtorto collo, ad accettare le loro condizioni per consentirci di restarvi.
Con l’Europa (Commissione e Parlamento europeo) dobbiamo difendere con le unghie e con i denti la nostra credibilità. Anche verso la Nato, che ha perso il carattere fondativo di alleanza politico-militare difensiva di mutuo soccorso tra pari, bisogna ridisegnare una strada politica che ridefinisca gli impegni politici e militari, attivi e passivi, senza essere obbligati a seguire pedissequamente e acriticamente la crescente propensione all’avventurismo.
A ben vedere negli ultimi 20 anni, senza ottenere la minima contropartita politica, siamo stati tirati per i capelli a prendere parte ad ogni guerra in cui non erano in gioco i nostri interessi diretti, né quelli dell’Alleanza atlantica, (Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia).
Nel 1847 il cancelliere austriaco principe Metternich, per nulla impressionato dai moti che agitavano il nostro paese, disse che l’Italia era una denominazione geografica, senza il valore politico che i rivoluzionari del Risorgimento volevano attribuire.
Certo non ci voleva un genio per rendersi conto che l’Italia è il ponte dell’Europa nel Mediterraneo, aperto all’attraversamento di centinaia di migliaia di esseri umani in cerca di libertà e di fortuna.
Il non comprenderlo oggi è segno di grave carenza di una strategia di politica estera con conseguenze altrettanto gravi sulla politica interna.
L’immigrazione di poveracci dall’Africa, e da vari paesi asiatici via Libia o Tunisia, è un fenomeno sistemico, destinato a durare per decenni e non un problema emergenziale o temporaneo come si è voluto far credere adottando di volta in volta misure di finta accoglienza costose, ma del tutto vergognose e inefficaci.
Non abbiamo le strutture adeguate, né un collaudato sistema logistico-amministrativo, né uno scheletro di organizzazione della pubblica amministrazione per fronteggiare il fenomeno ed è del tutto risibile la proposta di qualche bello spirito di creare in Africa degli “hot spot” per selezionare i migranti di cui abbiamo bisogno.
Il Parlamento che diserta le sedute senza motivo o che vota provvedimenti di spesa senza leggerli e con dibattito finto, non ha risolto nessuno dei nostri problemi di sicurezza, né collegato la nostra cooperazione con i vari paesi africani all’immediato rimpatrio dei migranti clandestini, né preteso dall’Europa lo stesso tipo di politica adottato con la Turchia per chiudere la rotta balcanica. Al contrario abbiamo visto, fino a questo momento, respingere la richiesta di aiuto della Tunisia con la motivazione che lì non c’è democrazia, né libertà, come se invece in Turchia vigessero le virtù democratiche.
L’ultimo affronto l’abbiamo appena subito dal Segretario generale dell’Onu Guterres. Come avvenuto dieci anni fa quando fummo esclusi dai negoziati con l’Iran sul nucleare del gruppo dei 5+1 (Cina. Russia, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Germania), oggi la scena dell’insignificanza italiana in politica estera si ripete.
L’Italia, diversamente da Francia Germania e UE, non è stata convocata a Doha (Qatar), già sede dei negoziati Usa-Afghanistan, per discutere sull’approccio comune da tenere verso il regime afghano. Come se il sacrificio di aver partecipato ad una guerra dei 20 anni riportando a casa 53 caduti, 700 tra mutilate e feriti, e spendendo alcuni miliardi frutto del sudore della fronte degli italiani, valga di meno di quelli della Francia ed ancora una volta della Germania.
Eppure avremmo avuto una carta in più da far valere: le conseguenze dell’instabilità e repressione in quel paese nei confronti del problema migratorio ci riguardano direttamente.
Quando sono in gioco gli interessi di altri (Germania e Francia ad esempio) si fanno gli straordinari e gli strappi alle regole, mentre se il problema è italiano nessuno ci soccorre perché la nostra politica estera è assente, senza una strategia, senza un orizzonte.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.