Un nuovo studio mostra che la perdita di foreste tropicali è aumentata con le acquisizioni di terreni. Negli ultimi anni, c’è stato un aumento delle acquisizioni di terreni su larga scala da parte di investitori stranieri e investitori autoctoni. In particolare in America Latina, Asia e Africa, paesi dove gli investitori possono sottoscrivere contratti a lungo termine.
È vero che in alcuni casi questo porta alla creazione di nuovi posti di lavoro per le comunità locali e spesso i governi accolgono con favore questi investimenti, perché lo vedono come un mezzo per promuovere il trasferimento di tecnologie e l’afflusso di capitali; gli investimenti però possono anche avere esiti negativi per la popolazione locale, che si affida a questi terreni come risorsa di cibo e di reddito, ma non ha pretese legali per la terra e l’ambiente.
Un gruppo internazionale di ricercatori guidato dell’Università del Delaware ha recentemente pubblicato uno studio su Nature Geoscience per vedere quali tipi di investimenti su larga scala possono essere associati all’aumento della deforestazione tropicale.
Kyle Davis ed il suo team ha scoperto che i tipi di investimento incentrati sulla creazione di nuove piantagioni di alberi per il legname, così come le piantagioni per la produzione di olio di palma e fibra di legno, hanno portato costantemente alla perdita di foreste rispetto alle aree circostanti lasciate libere.
I risultati dello studio mostrano che le acquisizioni di terreni su larga scala possono portare a un’elevata deforestazione delle foreste tropicali. Inoltre evidenziano il ruolo delle politiche locali nella gestione di questi ecosistemi.
Lo studio ha mostrato come dall’inizio del secolo, il 76% di tutte le acquisizioni di terra su larga scala nel Sud del mondo, in particolare in America Latina, Asia, Africa e Oceania, siano fatte da investimenti stranieri. Queste acquisizioni coprono dal 6% al 59% della superficie di un determinato paese e dal 2% al 79% delle sue foreste. “Questi dati sugli investimenti ci hanno fornito informazioni sull’area esatta, i confini e l’uso previsto di ciascun accordo. Abbiamo quindi combinato questi dati con le informazioni satellitari sulla copertura forestale e la perdita di foreste, per capire se gli investimenti potevano essere associati all’aumento della perdita di foreste tropicali”, ha affermato Davis.
Per quanto riguarda il danno ambientale causato dalla palma da olio, dalla fibra di legno e dalle piantagioni di alberi, Davis ha affermato che molto dipende dal modo in cui tali prodotti vengono coltivati. “Gli investimenti per stabilire nuove piantagioni di palma da olio o di alberi sembrano avere costantemente tassi più elevati di perdita di foreste, e questo ha senso perché, fondamentalmente, devi liberare completamente il terreno da ciò che c’è per convertirlo nell’uso previsto”, ha detto Davis.
Per gli altri tipi di investimento, come quelli per il disboscamento, i dati mostravano effetti più contrastanti, spesso migliori. Davis pensa che questo sia dovuto ai requisiti specifici per l’industria del disboscamento, in cui spesso è consentito raccogliere solo alberi di una certa dimensione o specie.
“Negli ultimi decenni c’è stato un rapido aumento degli investimenti in terreni a causa della crescente domanda globale di cibo, carburante e fibre”, ha affermato Davis, che ha anche sottolineato l’importanza per i governi di fornire informazioni dettagliate su questo tipo di investimenti, perché se si fa un confronto tra i diversi paesi, è possibile iniziare a identificare quali politiche sono più efficaci nella protezione delle foreste. “Se vedi accordi in un paese che non stanno portando a una maggiore perdita di foreste, ma lo stesso tipo di investimento in un altro paese sta accelerando la deforestazione, allora vuol dire che c’è qualcosa nel tipo di politiche che non sta funzionando, ma questo vuol dire che si può sfruttare ciò che funziona in un paese e adattarlo a un altro contesto”.