La plastica è ovunque, anche nei nostri corpi. Quest’anno, numerosi studi hanno rivelato la presenza di microplastiche in vari campioni di tessuto umano. Queste minuscole particelle sono state trovate in tutti i campioni di tessuto placentare esaminati, nelle arterie umane, dove sono associate a un aumento del rischio di infarto e ictus, nei 27 testicoli umani analizzati e nello sperma di 40 pazienti sani.
Queste scoperte si aggiungono a una crescente quantità di prove che dimostrano quanto la plastica sia diffusa e i rischi per la salute che ne derivano. È ormai evidente che ci troviamo di fronte a una crisi sanitaria legata alla plastica. Mentre l’industria della plastica continua a trarre profitto da prodotti potenzialmente nocivi, i costi sanitari ed economici vengono scaricati sulla collettività e sui governi. La Commissione Minderoo-Monaco sulla plastica e la salute umana del 2023 ha stimato che, solo negli Stati Uniti, le malattie, le disabilità e le morti premature dovute all’esposizione a sostanze chimiche come BPA, DEHP e PBDE hanno generato costi superiori a 675 miliardi di dollari nel 2015. Un rapporto dell’Università di Birmingham di questo mese collega ulteriormente le microplastiche all’infiammazione e alle malattie non trasmissibili.
Tuttavia, alcuni scienziati avvertono che siamo “probabilmente agli inizi”. Una revisione della ricerca del 2024 sulle implicazioni dell’aumento dell’inquinamento da microplastiche suggerisce che “l’epidemia diffusa di inquinamento [da microplastiche] non si è ancora manifestata”. Gli attuali livelli rilevati potrebbero essere solo l’inizio, soprattutto considerando che la produzione di plastica è esplosa dagli anni ’70. Siamo vicini a un punto di svolta, poiché molti dei rifiuti plastici degli ultimi 20-40 anni stanno cominciando a decomporsi in particelle microscopiche.
Le plastiche, infatti, possono richiedere oltre un millennio per decomporsi completamente, ma si frammentano in microparticelle molto prima. Ad esempio, l’apertura di un tappo di bottiglia può liberare immediatamente microplastiche, e molti tipi di plastica iniziano a degradarsi in particelle più piccole nel giro di decenni, o persino anni, a seconda delle condizioni ambientali.
Nonostante il potenziale incremento dei problemi ambientali e sanitari legati alle microplastiche, non abbiamo ancora intrapreso misure concrete per affrontare il problema. La produzione globale di plastica è passata da circa 230 milioni di tonnellate all’anno nel 2000 a 460 milioni di tonnellate nel 2019 e si prevede che raddoppierà ulteriormente entro il 2040.
La situazione è allarmante, ma gli esperti ritengono che esistano soluzioni ambiziose e urgenti per mitigare i danni causati dalla plastica. Il dottor Philip Landrigan, medico e direttore del Program for Global Public Health and the Common Good al Boston College, sostiene che il “passo più importante e di vasta portata” per affrontare la crisi globale della plastica sia imporre un limite alla produzione globale di plastica. Questa misura sarebbe simile alle restrizioni imposte sui clorofluorocarburi dal Protocollo di Montreal o sulle emissioni di gas serra dall’Accordo di Parigi.
Pur riconoscendo che alcune plastiche sono indispensabili in settori come l’ingegneria e la medicina, Landrigan enfatizza l’importanza di limitare l’uso di ciò che definisce “plastica inutile”, riferendosi ai prodotti monouso. Tuttavia, le aziende che operano nei settori dei combustibili fossili e della plastica resistono a tali limitazioni, poiché la plastica monouso rappresenta circa il 40% del mercato e potrebbe diventare ancora più rilevante con il calo della domanda di gas.
Landrigan, coautore del rapporto della Commissione Minderoo-Monaco, avverte che l’inquinamento da microplastiche non è un problema astratto confinato agli oceani, ma una minaccia concreta alla salute umana. “Il mio timore è che non esista ancora una consapevolezza diffusa del problema”, afferma, sottolineando il rischio che un eventuale trattato internazionale sulla plastica possa essere meno incisivo di quanto necessario.
Per chi è preoccupato per gli effetti della plastica sulla salute, Landrigan suggerisce di sollecitare i propri rappresentanti eletti a vietare i prodotti monouso e a implementare regolamentazioni stringenti simili a quelle in vigore in California e New York che entrerà in vigore il prossimo anno.
Martin Wagner, ricercatore presso la Norwegian University of Science and Technology, sottolinea che oltre 3.600 delle oltre 16.000 sostanze chimiche note presenti nelle plastiche sono considerate “preoccupanti”, poiché cancerogene, dannose per il sistema endocrino o tossiche e bioaccumulative. Di queste, quasi 400 sono utilizzate in materiali a contatto con alimenti, e 97 sono state trovate in tracce negli alimenti o nei corpi umani.
Wagner sostiene che le persone hanno il diritto di essere informato sulle sostanze chimiche cui sono esposte. “Non è come consumare alcol o fumare tabacco. L’esposizione è involontaria”, afferma. Propone di regolamentare 15 gruppi di sostanze chimiche, come bisfenoli, ftalati e PFAS, e obbligare i produttori a dichiarare chiaramente le sostanze presenti nei loro prodotti, con la politica “niente dati, niente mercato”. Wagner conclude che un’etichettatura trasparente aiuterebbe le persone a fare scelte informate, evitando prodotti contenenti sostanze pericolose.