M. B.
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“Ho 57 anni e 35 anni di contributi versati. Leggo sui vari giornali on-line che andiamo in pensione troppo presto. Ho l’ipertensione, il diabete II, il colesterolo alto e altri piccoli acciacchi. Vorrei sapere da tutti questi dottoroni che predicano per restare al lavoro sino a 65-70 anni qual è secondo loro la mai aspettativa di vita. Se vogliono allungare l’età lavorativa devono anche considerare caso per caso la reale aspettativa del soggetto. Con delle patologie come le mie, il mio medico non perde occasione per ricordarmi che sono un soggetto “a rischio”, e la vita lavorativa sedentaria che sono costretto a fare (lavoro in ufficio, tutto il giorno davanti ad un computer) non posso permettermi di lavorare oltre i 60 anni. Non me ne frega niente delle medie fatte dagli analisti. Non mi va bene che siccome c’è chi campa cent’anni allora devo adeguarmi a lavorare sino a 65-70 anni. Un patto per i giovani? Quale patto? Se lavoro altri 3-4- anni danno un lavoro a mio figlio? O lo danno al figlio di Bossi? E poi scusami, fanno confronti col resto dell’europa dicendo che noi andiamo in pensione con 40 anni di contributi ed una media di 58 anni di età. Non dicono però che abbiamo iniziato a lavorare a 16 anni. Ci ricordano sempre che siamo più ignoranti del resto dell’Europa ma non poi si lamentano che andiamo in pensione prima: se abbiamo iniziato prima finiremo anche prima! Dov’erano i dottoroni mentre gli ignoranti andavano a lavorare? A scuola, ad imparare a come fottere meglio il prossimo! E adesso ci vengono a dire di lavorare ancora un pò per fare “un patto” con le generazioni future? Vadano a lavorare!”
M. B.