di Niccolò Morelli – La prestigiosa rivista Nature l’ha inserita tra le 10 persone più importanti del 2016 definendola “pirata della carta”, ma per tutti è la nuova Robin Hood delle riviste scientifiche.
Alexandra Elbakyan, esperta informatica 34enne di origine Kazaka, è diventata l’incubo peggiore per le più grandi case editrici scientifiche del pianeta. Il suo crimine? Aver reso accessibile a tutti, anche a chi non può permetterselo, milioni di pubblicazioni scientifiche altrimenti destinate ad un’elitè ristretta di ricercatori e grandi campus universitari.
Probabilmente non tutti lo sanno, ma per poter accedere alla lettura o alla semplice consultazione di un lavoro scientifico ufficiale pubblicato su rivista, fatto salvo il caso che si tratti di un articolo in open access, bisogna pagare delle belle cifre. Quindi se chiunque sul pianeta avesse la necessità (o la semplice curiosità) di leggere un articolo di medicina, scienza, matematica, fisica, informatica ecc si troverebbe davanti una pagina di accesso le cui credenziali vengono fornite solo tramite un abbonamento apposito. Dunque, se vi stesse collegando da un campus universitario che ha pagato un abbonamento cumulativo alle riviste di quella casa editrice, il sistema riconoscerà il vostro IP e vi aprirà la porta della conoscenza. Se invece siete degli studenti autonomi oppure siete iscritti a qualche università del mondo che non può permettersi di sottoscrivere salatissimi abbonamenti, la porta della conoscenza per voi rimarrà chiusa.
O almeno è sempre stato così fin quando la nostra Robin Hood, una giovane scienziata idealista che ritiene la conoscenza un bene di tutti e non solo di alcuni, ha deciso di creare un archivio scientifico online gratuito chiamandolo Sci-Hub.
Attivo dal 2011, Sci-Hub ospita ad oggi ben 88 milioni di articoli che spaziano tra le più svariate discipline e sono sempre più richiesti. Il modo in cui la brillante Alexandra sia riuscita ad aggirare il sistema non è del tutto chiaro, lei sostiene di essere riuscita a convincere migliaia di ricercatori a fornire le loro credenziali di accesso per entrare nei siti a pagamento ma i suoi detrattori accusano che le credenziali siano state ottenute con l’inganno. Quale che sia la verità resta il fatto che oggi grazie al suo coraggio, migliaia di studenti in tutto il mondo, possono avere accesso ad una conoscenza che fino a qualche anno fa era loro negata.
In un panorama mondiale in cui la ricerca e l’università sono sempre meno sovvenzionate dagli Stati, una finestra sulla conoscenza come Sci-Hub rappresenta un salvagente di vitale importanza per migliaia e migliaia di atenei le cui condizioni economiche versano in stato di emergenza. Allo stesso tempo però, com’è ovvio, la presenza di Sci-Hub determina delle notevoli perdite economiche per i colossi dell’editoria scientifica (quasi tutti americani), i quali non sono rimasti a guardare e hanno intentato diverse cause milionarie per la violazione del Copyright nei confronti di Alexandra Elbakyan.
Cause che, nella maggior parte dei casi sono state vinte dalle case editrici ma che di fatto, anche a fronte di condanne al risarcimento dei diritti d’autore sono destinate a rimanere lettera morta dato che Alexandra vive in Russia, ben lontana dalla portata della legge americana. Inoltre essa non ha nessuna proprietà negli Stati Uniti e anche gli stessi siti che rendono disponibili gli articoli piratati si trovano al di fuori del territorio Usa e hanno dunque continuato ad operare pressoché indisturbati e in caso di oscuramento o blocco, questi aprono sotto un altro dominio in un gioco dell’oca che ricorda i siti di pirateria musicale di qualche anno fa.
Il risultato più importate che i colossi delle pubblicazioni scientifiche sono riusciti ad ottenere è stato il blocco all’accesso a Sci-Hub in diversi stati europei tra cui anche l’Italia, anche se in rete si trovano diverse istruzioni per aggirare il sistema di blocco.
Inoltre negli ultimi tempi sempre più riviste scientifiche, per combattere la diffusione di Sci-Hub, si stanno trasformando in open access permettendo dunque la lettura degli articoli in maniera gratuita ma lasciando la possibilità di pubblicare solo a coloro che pagano l’abbonamento.
La battaglia legale tra Alexandra e le case editrici sembra tutt’altro che finita, proprio in queste settimane la controversia legale è arrivata in India dove la Chemical Society e la Wiley (che da sole rappresentano il 40% dell’editoria scientifica mondiale) stanno provando a farsi giustizia. A differenza delle altre volte però, queta azione legale potrebbe avere un risultato inatteso dai colossi editoriali dato che in India la legge sul copyright è diversa da quella del mondo occidentale e la riproduzione di libri o articoli a scopo educativo non è considerata un reato.
Se Alexandra ne uscisse indenne si creerebbe un precedente pericoloso oltre che una sconfitta bruciante per le case editrici. Certo sarebbe una soddisfazione per la nostra Robin Hood che però non la ripagherebbe dall’umiliazione subita nel 2017 quando una mosca parassita che attacca gli alberi, scoperta in Messico, è stata “scientificamente” chiamata col suo nome.
La conoscenza non può essere un privilegio, si deve rifiutare e combattere l’dea che essa possa rappresentare un accessorio di lusso a disposizione solo di determinati gruppi di persone, siano essi gruppi di potere, Stati, elitè economiche o ceti abbienti della popolazione.
L’ignoranza va combattuta, non incoraggiata o peggio creata a tavolino.
Un plauso a tutti coloro che nel mondo combattono per portare alla luce ciò che pochi vogliono tenere nell’oscurità, anche a costo della propria sicurezza e libertà.
A tutti gli Alexandra Elbakyan, i Julian Assange gli Edward Snowden del mondo.
Grazie.
L’AUTORE
Niccolò Morelli, classe 1993, nasce ad Empoli ma vive tra le colline toscane di Vinci, il paese che dette i natali al genio di Leonardo. Nel 2018 si laurea in Scienze Politiche all’Università di Firenze e due anni dopo consegue il diploma di Master in Scienze del lavoro, frequentato per metà all’Université catholique de Louvain in Belgio, con una tesi dal titolo “Digitalizzazione e robotizzazione: verso un futuro senza lavoro?”.