Più della metà dei rifiuti di plastica nell’oceano proviene da soli cinque paesi asiatici: Cina, Indonesia, Filippine, Vietnam e Thailandia.
Ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica scartata finiscono nell’oceano e la situazione sta continuamente peggiorando. Un rapporto del World Economic Forum stima che, a meno che non pulisca l’oceano, entro il 2050 ci sarà più plastica che pesce nell’oceano.
In questo i fiumi hanno un impatto incredibile.
Uno studio condotto da scienziati del Centro Helmholtz per la ricerca ambientale, ha rilevato che il 90% della plastica oceanica proviene da soli 10 fiumi, otto dei quali in Asia.
Per combattere veramente la crescente ondata di inquinamento oceanico, dobbiamo lavorare sul cambiamento del ruolo che la plastica svolge nella nostra vita quotidiana. I governi di tutta l’Asia si stanno rendendo conto dei devastanti costi ecologici e finanziari dei fiumi e degli oceani inquinati.
La Cina, il più grande produttore di rifiuti di plastica, ha iniziato ad affrontare il problema. Si è subito impegnata a raggiungere un tasso di riciclaggio del 35% in 46 città entro il 2020. L’India vuole eliminare tutta la plastica monouso nel paese entro il 2022 e ha introdotto un divieto immediato a Delhi. Altre nazioni asiatiche, come il Bangladesh, hanno bandito i sacchetti di plastica, sebbene l’applicazione sia stata frammentaria.
Insomma dobbiamo affrontare il problema alla fonte. Non c’è davvero alternativa.
Indicare un dito accusatore ai consumatori per l’utilizzo di troppa plastica è come incolpare i proprietari di auto per la congestione del traffico. Se la produzione di plastica fosse diminuita, sarebbe meno disponibile per le persone. Proprio come la politica del governo può limitare l’uso dei prodotti in plastica da parte dei consumatori, può anche guidare il comportamento dei produttori.
Imporre tasse e limiti sulla quantità e il tipo di plastica prodotta può essere un modo efficace per ridurre la produzione. Un altro approccio potenziale è dare incentivi per incoraggiare i produttori a sviluppare alternative alle plastiche non biodegradabili.
Ovviamene aumentare i tassi di riciclaggio e ridurre la quantità di plastica nell’uso quotidiano sono i primi passi positivi, ma potremmo andare molto oltre. Ad esempio, sensibilizzando l’opinione pubblica sul problema. Però in modo serio, non con qualche pubblicità qua e la.
Ovviamente, organizzare e finanziare un’efficace raccolta dei rifiuti non è un compito facile. Tutt’altro.
Oggi però l’innovazione ha fatto molto.
Le aziende private hanno sviluppato alternative compostabili, imballaggi di bio-plastica che si biodegradano rapidamente. Un’azienda britannica ha portato avanti questa idea e ha prodotto confezioni che possono essere mangiate insieme al cibo al suo interno. Una startup indonesiana ha prodotto involucri e bustine di cibo da alghe, che possono anche essere consumate.
Altri progetti mirano a sfruttare l’abbondante disponibilità di plastica di scarto a basso costo. In alcune zone dell’India rurale, i lavoratori hanno costruito oltre 34.000 km di strade da rifiuti di plastica frantumati. Oltre ad avere una resistenza insolitamente elevata alle temperature del paese, ogni chilometro costa un 8% in meno per la costruzione rispetto alle strade convenzionali.
Così si crea lavoro per i pescatori locali che vengono pagati per dragare i detriti dall’oceano e anche per i raccoglitori di plastica a terra. Diverse piccole imprese di triturazione di proprietà privata sono sorte.
Mentre la crescita della popolazione e l’industrializzazione continuano in tutta l’Asia, i costi di questa crescita cominciano a vedersi. Trovare modi per ridurre i rifiuti di plastica, gestirla responsabilmente e incoraggiare la creazione di alternative valide, sarà la chiave per un futuro sostenibile per la tutta la regione asiatica, e considerando l’impatto che questi paesi hanno, anche per tutti noi.