Ordini annullati, scorte in eccesso, catene di approvvigionamento interrotte: la pandemia ha messo a nudo alcune sfide fondamentali del modo in cui i nostri vestiti sono progettati, ordinati, fabbricati e venduti; oppure messi in discarica, inceneriti o venduti sui mercati secondari. Questi impatti sono stati aggravati dal Covid-19, ma l’industria dell’abbigliamento e ad alta intensità di risorse aveva bisogno di una riprogettazione ben prima che arrivasse la pandemia.
L’industria della moda è uno dei principali utilizzatori di prodotti chimici e a sua volta è responsabile per il 20% dell’inquinamento delle acque e delle emissioni di gas nocivi nell’aria.
Per questo molte società si stanno impegnando a cambiare le proprie catene di produzione e nella ricerca di nuovi modi in cui le persone acquistano i propri capi. Ne è un esempio la startup californiana Unspun, con sede a San Francisco, un’azienda specializzata nella produzione personalizzata e automatizzata di jeans.
Invece di entrare in un negozio pieno di jeans con taglie e modelli prestabiliti, i clienti acquistano i propri jeans su misura, attraverso una scansione 3D del proprio corpo, a casa utilizzando un’app del telefono e la fotocamera a infrarossi integrata dell’iPhone ( o di persona in un negozio, attualmente solo a San Francisco e Hong Kong). La scansione viene utilizzata per produrre un paio di jeans personalizzati entro un paio di settimane.
Attualmente non è economico (un paio di jeans costa circa 200 dollari) ma come tutte le tecnologie dirompenti ha il potenziale per diventare più conveniente nel tempo. E mentre il denim potrebbe essere costoso, la qualità e la durata incoraggiano i clienti a mantenere i loro capi più a lungo, un vero e proprio principio di circolarità.
“C’è un’enorme discrepanza tra ciò che fa l’industria dell’abbigliamento e ciò che la gente compra. Soprattutto ora con la pandemia, c’è un grosso problema con l’inventario in eccesso. Con Unspun produciamo abbigliamento dopo che qualcuno l’ha acquistato: lo realizziamo su richiesta anziché aspettare che qualcuno arrivi nel negozio. Non abbiamo taglie, e ciò è più inclusivo. Non abbiamo inventario, che riduce gli sprechi e le emissioni” afferma Beth Esponnette, cofondatrice di Unspun, intervistata da Greenbiz.
“Il sowtware che utilizziamo costruisce il modello in modo completamente digitale e questo ci dà un enorme vantaggio per eventuali modifiche. È automatizzato, quindi una volta che hai programmato il software non costa nulla per il programma eseguirlo e creare un modello. Ci siamo sbarazzati delle ore di lavoro che un sarto avrebbe trascorso costruendo un modello. L’idea è che non c’è macchina da cucire o lavoro manuale. Stiamo anche sperimentando la tessitura in tre dimensioni e la costruzione dell’intero indumento da filo. I consumatori stanno iniziando a rallentare e pensare al loro impatto nel mondo. La media è di 84 capi acquistati all’anno per ogni americano; è folle che acquistiamo più di un prodotto a settimana! Penso che i consumatori saranno disposti a spendere una fetta maggiore delle proprie entrate per un minor numero di prodotti che dureranno più a lungo e di cui sono entusiasti. Stiamo iniziando a vedere quel cambiamento.Tutto ciò lo facciamo per la sostenibilità e per cercare di ridurre le emissioni globali di carbonio dell’1 percento, che è la nostra stella polare principale”.