di Tommaso Luzzati – Lo scorso 28 ottobre è venuto a mancare Herman Daly, uno dei fondatori di quel filone di studi che ha preso il nome di “Economia Ecologica”. Nato nel 1938 in Texas (USA), conseguì il dottorato di ricerca in Economia alla Vanderbilt University nel 1967. Lì ebbe come maestro Georgescu-Roegen – allora impegnato nella stesura del suo celebre libro The Entropy Law and the Economic Process (1971) – da cui Daly apprese quanto sia cruciale considerare le basi materiali dei processi economici. Benché ciò sembri ovvio, tale aspetto è in genere sottovalutato dagli economisti tradizionali; inoltre ha conseguenze teoriche per nulla scontate. La conseguenza che Daly trasse è l’impossibilità (o, meglio, la non desiderabilità) di una crescita economica illimitata – come argomenta in uno dei suoi libri più noti e apprezzati nel campo degli studi sulla sostenibilità, Lo stato stazionario: l’economia dell’equilibrio biofisico e della crescita morale, pubblicato nel 1977.
Nonostante possa sembrare frutto di una visione radicale, il libro poggia sulla banale osservazione che, all’aumentare della ricchezza di un paese, la crescita economica finisce per diventare anti-economica. Questo avviene perché la materia che attraversa l’economia (concetto noto con il termine material throughput) raggiunge un livello così elevato che i benefici aggiuntivi della crescita economica diventano inferiori ai costi aggiuntivi dell’inquinamento, dei disastri ambientali, della riduzione dei servizi ecosistemici. Ogni manuale di microeconomia di base – afferma Daly più volte – insegna che i costi aggiuntivi di una certa attività finiscono a un certo punto per superarne i benefici. Eppure la teoria macroeconomica, proprio perché sottovaluta la portata della dimensione materiale dei processi economici, mescola vantaggi e costi in un unico indicatore, il PIL, includendo, ad esempio, tra le poste positive le spese effettuate per mitigare gli effetti dannosi delle attività economiche (le cosiddette spese difensive). Il problema della dimensione materiale dell’economia diviene dunque centrale, tant’è che Daly usa la metafora del carico di un’imbarcazione per ricordarci che anche per l’economia nel suo insieme esiste una massima capacità di carico, che per le navi è la linea di Plimsoll, oltre la quale è bene non andare (Daly 1991).
Proprio per il suo interesse verso una corretta contabilità macroeconomica, insieme al collega Cobb, Daly sviluppa nel 1989 un “indice di benessere economico sostenibile” (ISEW) che mira di fatto a correggere il PIL sottraendo ad esso le poste che danneggiano il nostro benessere e aggiungendo quelle che lo migliorano. Come il PIL, l’ISEW è misurato in termini monetari, aspetto che tuttavia impone la valutazione monetaria di beni non di mercato e dunque un’operazione non così scontata da un punto di vista epistemologico. Inoltre, risponde alla logica di un unico indice sintetico, mentre sembrano più appropriati approcci che usano una molteplicità di indicatori, come, ad esempio, la misurazione del benessere offerta dall’ISTAT (Benessere Equo e Sostenibile – BES). Ciononostante, calcolando l’ISEW, Daly mostra l’ampiezza dell’abuso che continuiamo a fare dimenticando che il PIL misura soltanto la dimensione del mercato e della pubblica amministrazione.
Daly insegnò economia alla State University della Louisiana per circa 20 anni prima di divenire senior economist al dipartimento ambientale della Banca Mondiale, dal 1988 al 1994, dove contribuì a sviluppare le linee guida per le politiche per lo sviluppo sostenibile. Dal 1994 fino alla sua morte è stato prima professore (fino al 2010) e poi professore emerito alla University of Maryland, School of Public Affairs. Il suo interesse per lo sviluppo economico, la popolazione, le risorse e l’ambiente lo ha portato a scrivere oltre cento articoli scientifici e numerosi libri. I molti premi che ha ricevuto, anche in Italia, ne hanno riconosciuto la capacità di integrare nei suoi studi l’etica, il senso della collettività, l’ambiente naturale e la qualità della vita.
L’AUTORE
Tommaso Luzzati è professore associato di Economia Politica. Sin dagli anni ’90, la sua ricerca si incentra sulla relazione tra crescita economica, degrado ambientale e benessere umano, in una prospettiva di economia ecologica e comportamentale. È tra gli editor di Ecological Economics e membro del comitato direttivo della European Association for Ecological Economics. Maggiori dettagli su https://people.unipi.it/tommaso_luzzati/