Dal Colle, di tanto in tanto, arriva un monito. E il famoso monito del Colle. Da lassù il presidente della Repubblica è sempre in osservazione e, quando serve, monita.
Monitare è quella particolare attenzione dedicata ai magistrati e alle intercettazioni telefoniche. Il monito è, di norma, un appello ad abbassare i toni, a proteggere la privacy dei politici, a condannare il protagonismo di giudici ciarlieri. Il monito è una battaglia di civiltà, un appello per una convivenza civile. E come una folgore di Zeus che colpisce sempre gli stessi alberi e risparmia le discariche.
Il presidente, oltre a monitare, di solito dorme, non sugli allori, ma sulla onorabilità del Parlamento e dei suoi condannati e prescritti, sulle frequentazioni mafiose e palesi di alcuni partiti, sullinformazione scomparsa. Fa sonni profondi. Se nomini DAlema/Unipol, Berlusconi/Mondadori o Mastella/Why Not ha un leggero trasalimento. Piccolo, piccolo. Impercettibile. Prende i sali e poi si riprende. Ai nomi di De Magistris e della Forleo però monita subito, senza tentennamenti.
Il presidente è eletto dai partiti, fa il suo dovere, li accudisce teneramente. Letà lo nobilita, con quegli anni può dire quello che vuole. Come il nonno a tavola quando arriva il dolce. Una volta cera la bocca di Virna Lisi, oggi la dentiera presidenziale. Il presidente va eletto dagli italiani, non dai nostri dipendenti. Non deve avere più di cinquantanni. Non serve un presidente da ospizio di garanzia dello status quo partitico. Voglio una persona giovane, della società civile, non legata ai partiti. Chiedo troppo? Dobbiamo chiedere troppo! Ci stiamo giocando un futuro che questi settantenni e ottuagenari non vedranno mai.
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