di Pasquale Tridico – Sono figlio dello Stato sociale. Quella della mia famiglia è una storia che parla di Sud, di una famiglia di sette fratelli, cinque dei quali emigrati al Nord, di una mamma casalinga e un papà guardiano di mucche sordomuto. È una storia di emancipazione, realizzatasi quando la politica governava l’economia. La mia sorella maggiore, durante gli studi universitari, apprese che la sindrome di nostro padre era curabile: gli fu fornito gratuitamente un apparecchio acustico grazie al quale recuperò l’udito e persino la parola, anche se parlerà sempre come un bambino. A Torino, dove aveva iniziato a studiare, mio fratello maggiore scoprì l’esistenza del collocamento obbligatorio (una novità per noi!) per persone con disabilità: nel 1981 ci trasferimmo tutti in Piemonte, dove a mio padre fu assegnato un lavoro come bidello. Durante l’adolescenza, ho trascorso quattro mesi all’anno lavorando nei ristoranti di Monaco di Baviera. In seguito, come tutti i miei fratelli, ho ricevuto dallo Stato il sostegno finanziario per studiare all’università: a Roma ho beneficiato di sussidi per l’alloggio, i pasti, i trasporti e i libri. Anche durante il dottorato ho ottenuto borse di studio italiane e straniere, inclusa una Fulbright che mi ha permesso di svolgere attività di ricerca a New York. È anche grazie a queste opportunità che nel 2018 sono diventato professore ordinario di Economia.
Dalla mia adolescenza negli anni Novanta in poi, ho sempre avuto l’impressione che la politica non governasse l’economia, ma, al contrario, che fossero le regole dei mercati a determinare la distribuzione delle risorse. La mia generazione non ha vissuto l’euforia del miracolo economico, i grandi cambiamenti culturali degli anni Sessanta, la violenza degli anni Settanta o l’opulenza ostentata negli anni Ottanta. Ha però vissuto le incertezze derivanti dalle promesse mancate della globalizzazione, gli eccessi del «finanzcapitalismo»(1) e ripetute crisi finanziarie, così come il ritorno della guerra in Europa e la pandemia di Covid-19.
È il momento di cambiare rotta e ritornare a governare l’economia, ovvero fare in modo che l’uomo e i suoi valori prevalgano sulle leggi del mercato e del capitalismo, la forma di organizzazione economica oggi dominante. Affinché ciò sia possibile, è necessario concepire il progresso umano non tanto come un’accumulazione continua di ricchezza personale, bensì come una crescita continua di conoscenze, un processo di evoluzione sociale e culturale che porta con sé diritti sociali e benessere collettivo, che non tollera disuguaglianze, disoccupazione, povertà economica ed educativa, fame, devastazioni ambientali o guerre. L’organizzazione economica è uno strumento per la realizzazione di tale processo, che deve essere guidato da valori, principi e politiche che garantiscano a tutti istruzione, salute, libertà e diritti civili.
La mia storia e quella della mia famiglia sono una testimonianza dell’importanza di uno Stato sociale che assicuri emancipazione e pari opportunità, governando l’economia per consentire a ognuno di raggiungere i propri obiettivi in un mondo giusto e progressista. Dedico questo libro a tutti coloro che lottano per realizzarlo.
1 Luciano Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Einaudi, 2021