di Torquato Cardilli – I media televisivi italiani sono affetti da provincialismo acuto cronico: non c’è TG, su qualsiasi rete, che non trasmetta immagini, sempre le stesse, di rotative che stampano miliardi di banconote o di inquadrature dei piedi delle persone o interviste strappate a passanti che per lo più ignorano il problema che viene posto. Questo modo paesano di fare informazione è totalmente estraneo ai TG di altri paesi come Francia, Germania, Inghilterra, Stati Uniti ecc.
Personalmente detesto anche l’abitudine di molti politici, giornalisti e commentatori che utilizzano termini inglesi difficilmente comprensibili per il popolo, in luogo di equivalenti italiani comprensibilissimi. Oltre al famoso spread (differenziale) che ormai hanno imparato anche i sassi, generalmente l’utilizzo di termini inglesi nasconde sempre qualche cosa di oscuro. Perché dire “bail in” quando si tratta di confessare che si tratta di salvataggio interno delle banche con i soldi dei correntisti, oppure “fiscal compact” per dire patto di stabilità e crescita cioè austerità, o “non performing loan” per dire crediti inesigibili, o ancora “stake holder” in luogo di azionista o “mission” al posto di scopo? Puro snobismo esibizionista o abitudine all’uso del latinorum, come faceva dire Manzoni a don Abbondio, per confondere la plebe.
Fatta questa doverosa premessa, è pur vero che, come accadde nei secoli passati quando la terminologia finanziaria era espressa prevalentemente in italiano ben oltre i nostri confini (banca, bancarotta, cambio, cambiale, rateo, aggio e aggiotaggio ecc.) così la diffusione dell’inglese negli ultimi 50 anni ha fatto in modo che per definire un qualche cosa di finanziario o economico si usi una terminologia inglese, che però va spiegata ogni volta se non si è in grado di utilizzare l’equivalente in italiano.
Nell’ultimo anno, con la crisi del Covid, il mondo è cambiato e un po’ dappertutto sono crollate le barriere dell’austerità che ha impoverito i più deboli. In Europa siamo arrivati al Recovery & Resilience Facility Fund (RRFF) cioè allo strumento della ricostruzione e del consolidamento, detto più brevemente Recovery Plan, approvato dall’Unione Europea per il bilancio comunitario 2021-2027. Esso fa parte della linea finanziaria in favore della prossima generazione (Next Generation EU in sigla NGEU) con una titolazione che sembra aprire speranze.
Lo strumento RRFF è stato istituito per finanziare i paesi dell’Unione (di cui non fa più parte la Gran Bretagna, che se ne pentirà) con un fondo speciale di 750 miliardi di cui € 360 miliardi di sovvenzioni a dono (grants) e € 390 miliardi di prestiti.
Nella ripartizione per paesi all’Italia è stata riservata, grazie all’abilità negoziale di Conte, la quota maggiore in ragione della sua debolezza economica e cioè circa € 80 miliardi a dono e € 129 miliardi come prestito per un totale di circa € 209 miliardi. Ma c’è un ma. Per usufruire di questo dono l’Italia dovrà versare, tra il 2028 ed il 2058, contributi aggiuntivi al bilancio comunitario per circa € 50 miliardi. Quindi l’attuale generazione riceve soldi che dovranno essere restituiti dalla prossima; ecco perché si chiama next generation.
E’ pur vero che si tratta di un trasferimento netto a nostro favore di € 30 miliardi, che saranno erogati a cominciare dal tardo 2020 pari al 2% del Pil italiano, mentre la Germania, l’Olanda e l’Austria e in misura minore la Francia sono contributori netti del programma.
Questo fa capire subito quale sarà la occhiuta vigilanza europea su come saranno spesi i fondi in Italia perché il contribuente tedesco, olandese, ecc. non vorrà pagare con i propri sacrifici gli sperperi italiani. E fa perciò bene il Presidente del Consiglio, nonostante le bizze delle quinte colonne interne al Governo, che disseminano il terreno di mine come se stessero all’opposizione, a tenere abbassata la saracinesca, a non uscire dagli stretti binari del rigore e a non lasciarsi confondere dalla cacofonia politica che vede appunto partner di Governo sulle stesse barricate dell’opposizione.
La giustificazione economica e politica del piano obbliga infatti lo Stato percettore a non dedicare i finanziamenti alla copertura delle spese abituali come accade per i fondi strutturali, ma solo alla ripresa (recovery) dell’economia disastrata dalla crisi innescata dalla pandemia del Covid-19 e al suo consolidamento (resilience) uscendo da un ciclo economico debilitato.
Il tutto si basa sul convincimento del Consiglio Europeo e della Commissione che queste risorse, ancorché di gran lunga inferiori a quelle messe sul piatto dall’amministrazione americana, se utilizzate correttamente potranno:
- rilanciare in modo robusto e permanente la domanda nel mercato unico con effetti positivi di crescita per tutti i paesi dell’Unione;
- attivare la sincronizzazione della ripresa economica riducendo al minimo le ineguaglianze geografiche create dal Covid-19;
- fare in modo che lo sviluppo futuro dell’Europa si fondi sulla sostenibilità ambientale e sull’innovazione digitale della nuova generazione.
Ogni Stato deve perciò predisporre e presentare entro fine febbraio 2021 un piano nazionale dedicato alla ripresa e al consolidamento (detto PNRR) che incida in maniera profonda e strutturale sulla crescita economica di lungo periodo. Per queste ragioni il PNRR deve necessariamente essere articolato sullo sviluppo digitale, sulla rapidità di interventi stabiliti a priori e non in corso d’opera, su un processo di modernizzazione della macchina dello Stato e sul rilancio della produttività per massimizzare l’effetto volano che attragga investimenti privati.
L’ultima parola per il varo definitivo dell’impresa, dopo l’esame della Commissione, spetta al Consiglio europeo che dovrà apporvi il sigillo in primavera.
Per questo sono particolarmente deleterie le manovre ostruzionistiche non dell’opposizione, ma di chi allo stesso tempo sta dentro e fuori il Governo con un gioco di ambiguità e di ambizioni mal celate il cui unico obbiettivo, nonostante l’asserita disponibilità a cedere le poltrone, è quello di togliere di mezzo Conte e favorire con un nuovo Governo il proprio rafforzamento in vista delle prossime elezioni elargendo finanziamenti ai poteri economico-finanziari-speculativi che sono già appollaiati in attesa di piombare sulla preda.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 100 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.