di Gianluca Riccio – Che cosa può rivelare un volto inespressivo sul vostro orientamento politico? Molto più di quanto potreste immaginare, secondo un recente studio che ha usato l’intelligenza artificiale per predire l’orientamento politico dalle foto dei volti. Anche controllando variabili come l’età, il genere e l’etnia, gli algoritmi di riconoscimento facciale sono stati in grado di indovinare le convinzioni politiche con una precisione paragonabile a quella degli esseri umani. Ma quali sono le implicazioni di questa scoperta per la nostra privacy nell’era digitale?
Il riconoscimento facciale è una forma di intelligenza artificiale che identifica e verifica gli individui analizzando i pattern basati sulle loro caratteristiche facciali. In sostanza, la tecnologia utilizza algoritmi per rilevare i volti nelle immagini o nei video. Poi misura vari aspetti del viso, come la distanza tra gli occhi, la forma della mascella e il contorno degli zigomi. Queste misurazioni vengono trasformate in una formula matematica, una “firma facciale”, che può essere confrontata con un database di volti noti per trovare una corrispondenza, o usata in varie applicazioni che vanno dai sistemi di sicurezza allo sblocco dei telefoni, fino al tagging degli amici sui social media.
Col crescente uso delle tecnologie di riconoscimento facciale sia nel settore pubblico che in quello privato, aumenta la possibilità che questi strumenti vengano utilizzati per scopi che vanno oltre la semplice identificazione, come la previsione di attributi personali. Ad esempio, e questo è il caso, l’orientamento politico.
Nel loro nuovo studio pubblicato sulla rivista American Psychologist (link qui), i ricercatori guidati da Michal Kosinski, professore associato di comportamento organizzativo presso la Stanford University, hanno seguito una pista particolare. L’obiettivo? Isolare l’influenza delle sole caratteristiche facciali nel predire l’orientamento politico. Il lavoro si è concentrato su variabili come espressioni e orientamento del capo.
Per farlo, hanno reclutato 591 partecipanti da una grande università privata e hanno scattato le loro foto in un ambiente altamente controllato. I soggetti indossavano tutti magliette nere, avevano rimosso il trucco e i capelli erano tirati indietro. Le foto sono state scattate in una posizione fissa, in una stanza ben illuminata e contro uno sfondo neutro. Le immagini sono state poi processate da un algoritmo di riconoscimento facciale, che ha estratto dei “descrittori facciali” numerici. Questi descrittori codificano le caratteristiche del viso in una forma analizzabile dal computer. E sono stati usati per predire l’orientamento politico dei partecipanti attraverso un modello che li mappava su una scala di orientamento politico.
I risultati? Sono sorprendenti. L’algoritmo di riconoscimento facciale è stato in grado di predire l’orientamento politico con un coefficiente di correlazione di 0,22. Sebbene modesta, questa correlazione è statisticamente significativa e suggerisce che alcune caratteristiche facciali stabili potrebbero essere legate all’orientamento politico, indipendentemente da altri fattori demografici.
Ma non è tutto. In una seconda fase, i ricercatori hanno sostituito l’algoritmo con 1.026 valutatori umani, chiedendo loro di stimare l’orientamento politico dalle stesse immagini standardizzate. Sorprendentemente, anche gli esseri umani sono stati in grado di predire l’orientamento politico con una precisione paragonabile a quella dell’algoritmo. Con un coefficiente di correlazione di 0,21. Un po’ meno bene, in sintesi.
Infine, in una terza fase, i ricercatori hanno applicato il modello a un set di immagini di politici, per validare i risultati in uno scenario più reale. Anche in questo caso, il modello di riconoscimento facciale è stato in grado di predire l’orientamento politico con una precisione significativa. Dimostrando che alcune delle caratteristiche facciali predittive possono essere identificate anche in immagini più variegate.
I risultati di questo studio sollevano preoccupazioni significative per la privacy. Il riconoscimento facciale può essere usato senza il consenso o la conoscenza dei soggetti. Le immagini facciali possono essere facilmente (e segretamente) scattate dalle forze dell’ordine o ottenute da archivi digitali o tradizionali, compresi social network, piattaforme di incontri, siti di condivisione di foto e database governativi. Spesso sono facilmente accessibili: le foto del profilo di Facebook e LinkedIn, per esempio, possono essere visualizzate da chiunque senza il consenso o la conoscenza della persona. Pertanto, le minacce alla privacy poste dalla tecnologia di riconoscimento facciale sono, per molti versi, senza precedenti. E con il crescente utilizzo di questi strumenti sia nel settore pubblico che in quello privato, il rischio di abusi e sorveglianza di massa diventa sempre più concreto.
Lo studio di Kosinski e colleghi apre una finestra su un futuro in cui la tecnologia di riconoscimento facciale potrebbe essere utilizzata per svelare aspetti intimi della nostra identità, come l’orientamento politico, senza il nostro consenso o la nostra conoscenza. Ma solleva anche molte domande e sfide etiche.
Come possiamo bilanciare i potenziali benefici di questa tecnologia, come il miglioramento della sicurezza o la personalizzazione dei servizi, con i rischi per la privacy e la libertà individuale? Come possiamo garantire che questi strumenti non vengano utilizzati per scopi discriminatori o oppressivi, soprattutto nei confronti delle minoranze e dei gruppi vulnerabili?
Non ci sono risposte facili a queste domande. Ma dobbiamo cercarle al più presto, perché il volto che vediamo nello specchio ogni mattina non è solo un insieme di caratteristiche biometriche da analizzare e classificare. È il riflesso della nostra umanità, della nostra individualità, della nostra libertà di pensiero e di espressione.
E questi sono valori che nessun algoritmo, per quanto sofisticato, dovrà mai controllare.
L’AUTORE
Gianluca Riccio, classe 1975, è direttore creativo di un’agenzia pubblicitaria, copywriter, giornalista e divulgatore. Fa parte della World Future Society, associazione internazionale di futurologia e di H+, Network dei Transumanisti Italiani. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it, una risorsa italiana sul futuro.