L’idrogeno è l’elemento più abbondante della biosfera, dove però non si trova allo stato puro, ma soltanto unito all’ossigeno nelle molecole dell’acqua: H2O, o al carbonio negli idro-carburi, sostanze composte da idrogeno e carbonio: metano CH4; petrolio (85% circa carbonio, 13% circa idrogeno e per il restante 2% circa da altri elementi).
Se si libera l’idrogeno dai suoi legami con l’acqua e con gli idrocarburi, si può utilizzare per produrre energia. Per liberarlo da questi legami occorre energia, per cui l’operazione ha un senso se:
- l’energia che si ricava è maggiore dell’energia che si spende per ricavarla;
- l’energia che si ricava non genera i problemi ambientali che vengono generati dall’uso degli idrocarburi: emissione di anidride carbonica, ossidi di azoto, ossidi di zolfo.
L’elettrolisi dell’acqua
Per scindere i legami dell’idrogeno dall’ossigeno nella molecola dell’acqua si può utilizzare l’elettrolisi, un processo che consente di trasformare l’energia elettrica nell’energia chimica di questo elemento. La reazione avviene nelle celle elettrolitiche (elettrolizzatori), che sono dei contenitori con due elettrodi, uno positivo chiamato anodo e uno negativo chiamato catodo, in cui viene versata una soluzione acquosa. Al passaggio della corrente gli ioni1 presenti nella soluzione migrano verso i due elettrodi, dove scaricano la loro carica elettrica e avvengono altre reazioni che scompongono la molecola dell’acqua, liberando idrogeno al catodo e ossigeno all’anodo.
Questa trasformazione avviene con un rendimento di circa il 60 % e l’idrogeno che si ottiene con questo procedimento è puro.
Per valutare il rendimento complessivo del processo e il suo impatto ambientale, occorre prendere in considerazione anche il modo con cui si produce l’energia elettrica.
Se l’energia elettrica si produce con fonti rinnovabili – fotovoltaico, eolico, idroelettrico – l’impatto ambientale è nullo, per cui l’idrogeno che si ottiene viene definito idrogeno verde.
Se l’energia elettrica si produce utilizzando metano in una centrale termoelettrica a ciclo combinato, il processo non è pulito, perché la combustione del metano genera anidride carbonica, e il rendimento è molto inferiore. Poiché dai morsetti degli alternatori di una centrale termoelettrica a ciclo combinato escono 56 unità di energia elettrica ogni 100 unità di energia chimica del metano, il rendimento complessivo scende a circa il 34 per cento (0,56*0,60).
Se l’energia elettrica si produce in una centrale nucleare, poiché in queste centrali il costo del combustibile è relativamente modesto rispetto ai costi di investimento, il problema non è massimizzare i rendimenti, ma far lavorare gli impianti 24 ore su 24 per accelerarne l’ammortamento. Poiché la domanda di energia elettrica di notte è molto più bassa che di giorno, il surplus della produzione notturna può essere utilizzato per produrre idrogeno. L’idrogeno prodotto con questo processo viene definito idrogeno viola. Questa modalità è conveniente economicamente, ma non è né pulita né sostenibile, perché utilizza un combustibile fossile, l’uranio, che non è rinnovabile, e produce scorie radioattive, che rimarranno pericolose per diverse centinaia, o migliaia di anni.
Steam reforming
Lo steam reforming è il processo con cui l’energia chimica del carbonio contenuto nel carbon fossile e negli idrocarburi viene trasformata nell’energia chimica dell’idrogeno. Questa reazione si ottiene ossidando il carbonio con l’ossigeno contenuto nella molecola dell’acqua. Iniettando vapore acqueo nel combustore, l’ossigeno dell’acqua si combina col carbonio formando anidride carbonica (CO2) e liberando l’idrogeno. Il rendimento di questa trasformazione non supera l’80 per cento. L’idrogeno prodotto in questo modo viene definito idrogeno grigio, poiché non è puro e si forma con un processo che emette CO2. Il 95 per cento dell’idrogeno prodotto oggi nel mondo è di questo tipo. Se l’anidride carbonica emessa dallo steam reforming viene “catturata” e stoccata, per lo più in vecchi giacimenti di idrocarburi esauriti, con un processo denominato CCS (dall’inglese Carbon Capture Storage), l’idrogeno che si ottiene viene definito idrogeno blu.
Nelle raffinerie si effettua una depurazione accurata dell’idrogeno prodotto col reforming, che viene poi utilizzato per produrre sinteticamente idrocarburi leggeri (benzine) dagli idrocarburi pesanti, in particolare quelli che costituiscono il gasolio. Attualmente il 50 per cento dell’idrogeno viene utilizzato a questo scopo. Questa operazione è molto sviluppata nelle raffinerie americane, che devono ricavare dal petrolio una maggiore quantità di benzina rispetto alle raffinerie europee, perché negli Stati Uniti gli automezzi adibiti al trasporto merci utilizzano benzine, a differenza di quanto avviene in Europa, dove sono equipaggiati con motori diesel. Nelle raffinerie degli Stati Uniti la produzione di una maggior quantità di benzina dal petrolio comporta una perdita energetica di circa il 24 per cento, mentre nelle raffinerie europee, che producono più gasolio, le perdite energetiche si attestano intorno al 10 per cento. La diffusione delle automobili elettriche ridurrà drasticamente questa domanda di idrogeno.
L’idrogeno è un vettore energetico scadente e problematico
L’idrogeno non è dunque una fonte energetica, ma un vettore energetico. Il più scadente e problematico, poiché trasporta all’unità di volume 3 volte meno energia del metano e le perdite in un gasdotto sono 8 volte superiori al quelle del metano. Un metanodotto che abbia il 3 % di perdita ne avrebbe il 24 % se trasportasse idrogeno e porterebbe poco più di un quarto dell’energia del metano. L’idrogeno è il combustibile più leggero a parità di energia e quindi ottimo per i razzi. Tuttavia, fa riflettere il fatto che anche in questa applicazione particolarmente favorevole si stia cercando di sostituirlo con il kerosene. Poiché l’energia dell’idrogeno all’unità di volume è bassissima, il suo trasporto in gasdotti o bombole è molto problematico. In alternativa può essere trasportato allo stato liquido, ma la trasformazione dallo stato gassoso allo stato liquido comporta un grande dispendio energetico perché richiede una temperatura di – 240 °C e una pressione di 13 bar.
Le celle a combustibile, o fuel cell
Dall’idrogeno si può ricavare energia in due modi: o utilizzandolo come un combustibile, analogamente al metano, o per generare energia elettrica nelle celle a combustibile, o fuel cell, dove l’energia chimica dell’idrogeno e dell’ossigeno viene trasformata in energia elettrica con un processo inverso all’elettrolisi dell’acqua. Mentre nell’elettrolisi dell’acqua il passaggio della corrente elettrica libera ossigeno e idrogeno sui due elettrodi, nelle celle a combustibile facendo affluire idrogeno e ossigeno ai due elettrodi si ottiene la produzione di una potenza elettrica e la formazione di acqua. Questo processo di trasformazione nelle attuali celle può avere un rendimento anche del 60 % ed è particolarmente pulito: le emissioni sono costituite solamente da vapore acqueo.
Il rendimento globale del processo di produzione di energia elettrica nelle celle a combustibile con idrogeno ottenuto dal reforming è circa del 48 % (0,80*0,60), quasi equivalente a quello di una moderna centrale a carbone e inferiore a quello di una centrale a ciclo combinato, che è del 56 % e consente, inoltre, di utilizzare il calore residuo.
Se l’idrogeno utilizzato nelle celle a combustibile viene prodotto per elettrolisi utilizzando l’energia elettrica prodotta in una centrale termoelettrica a ciclo combinato, il rendimento globale del processo scende al 20 % (rendimento centrale a ciclo combinato: 56 %, rendimento elettrolisi: 60 %, rendimento fuel cell: 60 %). Se l’energia elettrica utilizzata nell’elettrolisi proviene da fonti rinnovabili, prima diventa idrogeno in un elettrolizzatore (rendimento 60 %), poi torna energia elettrica in una fuel cell (rendimento 60 %), dove non produce anidride carbonica, ma nei due passaggi se ne perde il 64 %, mentre se fosse stoccata in batterie al litio se ne perderebbe dal 15 al 20 %.
L’automobile a idrogeno come combustibile
L’idrogeno può essere impiegato nei motori automobilistici a combustione interna analogamente al metano. Oppure si può utilizzare per produrre energia elettrica nelle celle a combustibile e alimentare automobili con motore elettrico.
L’uso dell’idrogeno come combustibile ha un rendimento modesto e le emissioni non sono solo di vapore acqueo, ma anche di ossidi di azoto (NOX) a causa dell’alta temperatura e del modo in cui la combustione avviene nel motore.
Il rendimento del motore termico, nelle condizioni ottimali di funzionamento raggiunge il 30 %, ma in pratica, soprattutto nei circuiti urbani, scende a valori molto più bassi. Il processo per ottenere idrogeno elettrolitico con energia elettrica prodotta in centrali a ciclo combinato ha un rendimento di circa il 34 % (0,56*0,60), per cui il rendimento globale di un motore termico alimentato a idrogeno non supera il 10 % (0,34*0,30). Nel ciclo urbano il motore termico opera con rendimenti circa tre volte inferiori. Pertanto, il rendimento effettivo non supera il 3 per cento. Dal punto di vista energetico le cose non vanno bene, tuttavia in termini di inquinamento diretto non ci sono emissioni di particolato idrocarburi e di monossido di carbonio (CO), mentre non si possono escludere, come si è detto, le emissioni di ossidi d’azoto (NOX). In un bilancio ecologico globale occorre considerare anche le emissioni di CO2, se l’elettrolisi viene effettuata utilizzando energia elettrica prodotta con fonti fossili.
L’alimentazione di un’automobile a idrogeno presenta inoltre una difficoltà non irrilevante per il fatto che richiede serbatoi molto ingombranti in grado di contenere il gas alla pressione di 250 / 700 bar in condizioni di sicurezza. Per superare questo problema è stata introdotta la tecnologia degli idruri, che consiste nel fare assorbire l’idrogeno da apposite leghe metalliche. Una soluzione piuttosto costosa, che comporta un aggravio di peso e di ingombro non trascurabile.
L’auto a idrogeno con celle a combustibile: meglio dell’auto a idrogeno con motore termico
L’auto elettrica si potrebbe giovare dell’impiego delle celle a combustibile abbinate a batterie al In questo caso non si dovrebbe però parlare di auto elettrica, ma di auto a idrogeno, poiché il rifornimento di energia sarebbe effettuato con idrogeno e non con energia elettrica. Poiché l’alimentazione a idrogeno crea i problemi a cui si è accennato, la sfida tecnologica si trasferisce sulla possibilità di realizzare una stazione di reforming e di purificazione dell’idrogeno installabile su un autoveicolo, in modo da non perdere i vantaggi dell’alimentazione a idrocarburi (concentrazione di grandi quantità di energia in condizioni di sicurezza e in volumi e pesi ridotti), utilizzandoli però con maggiore efficienza energetica e senza generare inquinamento. In questo caso la catena energetica sarebbe la seguente: dagli idrocarburi mediante il reforming si ottiene idrogeno con emissione di anidride carbonica; l’idrogeno viene fatto reagire con l’ossigeno nelle celle a combustibile per produrre energia elettrica con emissione di vapore acqueo; l’energia elettrica alimenta il motore elettrico.
In questo caso il rendimento della trasformazione dell’energia chimica di un combustibile liquido in energia elettrica sarebbe dato dal prodotto tra il rendimento del reforming (80 %) e il rendimento delle celle a combustibile (60 %), attestandosi al 48 %. Dal momento che nel motore elettrico l’energia elettrica diventa energia meccanica con un rendimento del 90 %, il rendimento della trasformazione del combustibile in energia meccanica sarebbe del 43 % (0,48*0,90), ben superiore a quello degli attuali motori termici, che non superano il 30 per cento, ma nei circuiti urbani scendono a valori molto più bassi perché non possono essere utilizzati nelle loro condizioni di funzionamento ottimali. Sull’efficienza del sistema di trazione «metano – reforming – idrogeno – celle a combustibile – motore elettrico» i problemi del traffico cittadino non inciderebbero. Pur utilizzando bene il combustibile, questa tecnologia comporta emissioni, seppure ridotte, di CO2. Questa sfida fu tentata negli anni Novanta ma non ebbe successo.
Treni, autobus e camion a idrogeno
Il 29 dicembre 2020 FNM (proprietaria della società ferroviaria regionale Trenord), A2A e Snam hanno firmato un memorandum d’intesa finalizzato a studiare modalità di fornitura e rifornimento di idrogeno da fonti rinnovabili ( cosa poco significativa poiché forse possibile in un contesto alpino utilizzando l’energia idroelettrica magari sacrificando le preziose possibilità del pompaggio) per alimentare i nuovi treni della linea Brescia-Iseo-Edolo. Il piano, denominato H2iseO, consentirà di dar vita in Valcamonica alla prima “Hydrogen Valley” italiana, dotandola, a partire dal 2023, di una flotta di treni a idrogeno e delle relative infrastrutture. A2A utilizzerà l’energia idroelettrica per produrre l’idrogeno. Snam realizzerà le tubazioni a tenuta d’idrogeno per trasportarlo nelle stazioni di rifornimento dei treni, che lo utilizzeranno per produrre energia elettrica nelle fuel cell (con una perdita del 40 % se questa soluzione fosse generalizzata )con cui alimentare i treni. Non si ridurrebbero di più le emissioni di CO2 e i costi costruendo una rete elettrica per alimentare i locomotori standard direttamente con costi impiantistici inferiori ?
Successivamente, entro il 2025, la soluzione idrogeno verrà estesa anche al trasporto pubblico locale, con la possibilità di aprire anche alla logistica merci. Non si ridurrebbero di più le emissioni di CO2 e i costi trasportando le merci sui treni e alimentando gli autobus con batterie a ioni di litio?
Conclusione
L’idrogeno non potrà essere il vettore energetico del futuro che sarà elettrico e pertanto pensare ad iniziative in questa ipotesi è perdente.
La ricarica delle batterie delle automobili elettriche
Attualmente la ricarica delle batterie delle automobili elettriche viene effettuata in apposite colonnine ai bordi dei marciapiedi che fiancheggiano i posteggi in alcune zone delle città. La ricarica rapida delle batterie non solo ne compromette la vita, ma comporta una significativa perdita di energia. In considerazione di questi problemi, in Cina l’ultimo modello della NIO, oltre ad avere batterie proprie, è stato predisposto anche per lo scambio delle batterie scariche con batterie cariche nelle stazioni di servizio. Le batterie appartengono alla società che le ricarica. Se vengono ricaricate in fabbrica, l’operazione può essere fatta più lentamente e la durata della loro vita si allunga, si possono sostituire tempestivamente gli elementi difettosi, prima di essere costretti a rottamarle, la ricarica può essere controllata e modulata in funzione delle esigenze della rete. La sostituzione delle batterie scariche con batterie cariche nelle stazioni di servizio richiede meno tempo di quello necessario a fare un pieno di benzina.
L’idrogeno come accumulatore dell’energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili
Il limite principale delle fonti rinnovabili è l’aleatorietà della loro produzione energetica. Il rendimento del fotovoltaico dipende dalle variazioni della radiazione solare e di notte è nullo. Il rendimento dell’eolico dipende dall’intensità del vento, che non è costante. L’uso dell’idrogeno come vettore energetico ha la funzione di superare questi limiti. Quando l’energia elettrica prodotta dalla fonte rinnovabile è superiore alla domanda, il surplus si utilizza per effettuare l’elettrolisi dell’acqua e produrre idrogeno. Quando la domanda è superiore all’offerta, l’idrogeno viene usato per produrre energia elettrica nelle fuel cell. In linea di principio il ragionamento non fa una grinza, ma questo processo presenta un problema e suscita una domanda.
Il problema è: quanta energia si spreca nei due passaggi? Il rendimento dell’elettrolisi è del 60 %. Il rendimento delle fuel cell è del 60 %. Il rendimento complessivo delle due trasformazioni è del 36 % (0,60*0,60). Utilizzando l’idrogeno come accumulatore il 64 % dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili si spreca. La domanda che sorge spontaneamente è: non esistono procedure alternative che consentano di sprecare meno energia, sia quando si accumula, sia quando si utilizza l’energia accumulata?
L’accumulazione dell’energia elettrica con le batterie e con i pompaggi idroelettrici
Quando l’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili eccede la domanda si può accumulare chimicamente nelle batterie. Le più efficienti attualmente utilizzano ioni di litio e restituiscono dall’80 all’85 % dell’energia che immagazzinano. La produzione di queste batterie è cresciuta moltissimo negli ultimi dieci anni e si prevede che crescerà ancora. Comunque i giacimenti di litio sono abbondanti, anche se localizzati (in America del sud, Australia e Cina), e non ci sono problemi di approvvigionamento. Sembra inoltre imminente l’industrializzazione delle batterie agli ioni di sodio, che hanno la stessa efficienza, ma costi di produzione molto inferiori, perché il sodio si può estrarre dall’acqua del mare.
Un altro sistema molto efficiente di accumulazione energetica è il pompaggio dell’acqua da un invaso idroelettrico a una quota inferiore a un invaso a una quota superiore, utilizzando turbine reversibili. Quando la domanda di energia elettrica è inferiore all’offerta e il prezzo del kilowattora è al minimo, tipicamente di notte, si utilizza l’energia a basso costo per pompare l’acqua dal bacino inferiore a quello superiore. Quando la domanda raggiunge il picco, l’acqua viene rilasciata dal bacino superiore e i kilowattora prodotti vengono immessi sul mercato a prezzi più alti. Il rendimento medio di questo processo è tra il 70 e l’80 %, cioè da 10 kilowattora spesi per il pompaggio si ricavano da 7 a 8 kilowattora nella fase di generazione. Sono pertanto molto più vantaggiosi rispetto all’accumulo effettuato con l’idrogeno. Questi impianti sono complementari alle batterie perché garantiscono l’accumulo stagionale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Permettono inoltre di modulare l’erogazione della potenza durante l’arco della giornata e sono in grado di immettere in rete grandi quantità di energia elettrica in tempi rapidi, per cui sono molto importanti per la gestione della rete elettrica. Già una ricerca del 2012 aveva individuato in Italia una potenzialità di accumulo idroelettrico annuale di 79 TWh (1 Terawattora corrisponde a un miliardo di chilowattora) contro i 2 TWh attuali. Se questa potenzialità venisse sfruttata appieno potrebbe soddisfare un quarto dei consumi energetici totali e sarebbe più che sufficiente a soddisfare le esigenze di bilanciamento di una rete alimentata al 100 % da fonti rinnovabili in buona parte intermittenti.
L’idrogeno come vettore energetico rallenta il processo di transizione verso la neutralità carbonica
Se, sfruttando appieno le potenzialità dei pompaggi idroelettrici, utilizzando le batterie agli ioni di litio, e, probabilmente in un prossimo futuro, quelle agli ioni di sodio, si riesce a ricavare dalle fonti rinnovabili più energia utile, più rapidamente e a costi più contenuti di quella che si può ricavare utilizzando l’idrogeno come accumulatore di energia elettrica, è inevitabile dedurne che l’uso dell’idrogeno come vettore energetico rallenta il processo di transizione verso la neutralità carbonica. Pertanto è difficile capire le ragioni per cui alcuni sostenitori della necessità di ridurre al più presto le emissioni di CO2 ne siano diventati i più accesi sostenitori, mentre non stupisce che lo siano le 200 aziende che operano lungo tutta la catena di produzione e distribuzione dell’idrogeno, riunite nell’associazione Hydrogen Europe, molto attiva presso il Parlamento europeo.
L’idrogeno come reagente chimico in sostituzione del carbone nella siderurgia
L’idrogeno potrebbe dare un contributo specifico alla riduzione delle emissioni di CO2 in alcuni processi industriali, in particolare nella siderurgia, in sostituzione del carbone nei processi di ossidoriduzione dei minerali di ferro e della ghisa. Si tratta di una prospettiva ancora futuribile, sia per ragioni tecniche, sia per ragioni economiche. Benché se ne parli da alcuni anni, non sono stati ancora realizzati né impianti sperimentali, né, tanto meno, impianti industriali in cui questa tecnologia sia stata applicata. L’auspicio è che i problemi tecnologici siano risolti al più presto e si possa passare rapidamente alle applicazioni industriali, anche se non sono concorrenziali economicamente con le tecnologie attualmente in uso, ma dovranno essere sostenute con contributi di denaro pubblico, perché la riduzione delle emissioni di CO2 e di sostanze inquinanti che ne deriverebbero sarebbero molto importanti non solo per la riduzione dell’effetto serra, ma anche per la salute delle popolazioni che vivono nelle vicinanze delle acciaierie. Deve tuttavia essere ben chiaro che si tratta di un uso tecnologico dell’idrogeno, che non ha nulla che vedere col suo uso come vettore energetico.
A cura di Mario Palazzetti e Maurizio Pallante