di Fabio Massimo Parenti – Le autorità cinesi hanno più volte reagito agli attacchi americani affermando che la Cina non vuole cambiare gli Usa, o qualsiasi altro paese. Pertanto si chiedono: perché gli Usa vogliono cambiare la Cina? Il vice ministro degli esteri Le Yucheng ha affermato, a luglio scorso, che “né la Cina né gli Usa possono modellare gli altri a propria immagine, e le relazioni Cina-Usa non dovrebbero essere dominate dall’ideologia” – aggiungendo – “Perché gli Usa cercano di cambiare gli altri paesi nelle relazioni interstatuali? Perché provano ad imporre la propria ideologia sugli altri? Perché cercare di bloccare un paese dal perseguire il proprio modello di sviluppo che tra l’altro ha dimostrato la propria efficacia?” Il rispetto dei diversi modelli di sviluppo e dei diversi sistemi politico-economici è alla base del diritto internazionale, oltre che del buon senso.
Guardando all’attuale incontro tra i ministri degli esteri di Cina e Italia urge offrire un suggerimento almeno agli osservatori nostrani: in questa fase di nuova crisi globale sarebbe utile e saggio evitare posizionamenti netti, dogmatismi ed ideologismi, cercando di essere pragmatici ed avendo a cuore l’interesse nazionale. L’Italia, insieme all’Unione Europea, deve rivendicare la propria vocazione al multilateralismo ed evitare di seguire le campane “maccartiste” che di volta in volta gli Stati Uniti ripropongono al mondo, per i loro esclusivi interessi nazionali e calcoli strategici, oltre che elettorali.
Wang Yi è in Italia, la prima tappa di un tour europeo che approderà anche in Germania, allo scopo di continuare a costruire relazioni reciprocamente vantaggiose. Ricordiamo ad esempio che i rapporti di mutuo soccorso tra Cina ed EU durante le prime fasi epidemiche sono stati molto intensi e centrati sul bene comune. Inoltre, la Cina è in una fase più avanzata rispetto a noi nel processo di normalizzazione socioeconomica e sta esperendo un rimbalzo positivo anche per le nostre esportazioni. A giugno, ad esempio, il nostro export è aumentato del 20% (mese su mese) – benché ancora in forte contrazione anno su anno – e la componente cinese è stata prevalente. Lo stesso dicasi per la Germania e gli Usa, le cui esportazioni sono sostenute significativamente dalle importazioni cinesi. Non a caso, malgrado le forti pressioni subite, la Cina sta dimostrando di adempiere agli accordi commerciali della fase 1 con gli Usa, con ingenti acquisti agricoli ed energetici, ed i due paesi hanno tenuto proprio in questi giorni colloqui telefonici per ragionare sulla loro ulteriore implementazione. Buoni segnali, dunque, malgrado la postura ideologica anticinese dell’amministrazione Trump e dei suoi stretti alleati.
E’ noto che la guerra dei dazi rappresenti solo una componente delle tensioni tra Cina ed Usa. Questi ultimi hanno continuato incessantemente ad operare pressioni militari in Asia-Pacifico e in Medioriente, attacchi alle più importanti aziende high-tech (caso Huawei in primis), ingerenza negli affari interni in tutte le aree autonome cinesi, etnicizzazione del virus per colpire il Pcc, chiusura del consolato di Houston, minacciando peraltro di bloccare l’entrata nel paese ai membri del Pcc (circa 90 milioni), alle loro famiglie e finanche ai giornalisti. Per non parlare dell’isolamento internazionale degli Usa rispetto a trattati ed istituzioni della governance globale. Ma torniamo alla visita di Wang Yi in alcuni paesi europei. Dall’Italia alla Germania, l’obiettivo di questi incontri è rafforzare i meccanismi di cooperazione tra i due spazi chiave del continente eurasiatico e promuovere il multilateralismo, messo sotto stress dalle azioni irresponsabili dell’amministrazione statunitense.
In questi mesi, l’amministrazione Trump ha ripreso un approccio simile al post 9/11 2001 (all’apice del loro unilateralismo): “o con noi o contro di noi”. Invece di gestire la situazione caotica all’interno del paese e gli effetti disastrosi della pandemia, essi vogliono continuare ad imporre la propria volontà (spesso senza successo, come ha dimostrato la recente proposta degli Stati Uniti di estendere l’embargo sulle armi all’Iran in sede UNSC). Invece di promuovere una maggiore cooperazione per affrontare le crisi attuali, in ogni importante questione internazionale, essi sostengono i propri interessi strategici (come per il business IT), chiedendo agli alleati di sostenere gli interessi degli Stati Uniti a loro spese, contro i vari interessi nazionali.
L’appello degli Stati Uniti all’Australia e ai paesi europei di boicottare la Cina, ad esempio, è chiaramente contro gli interessi materiali di questi paesi e contro le esigenze internazionali per una maggiore cooperazione. Una grande potenza incapace di promuovere pacificazione e stabilizzazione in un momento di crisi globale e incline ad alimentare il caos non può in alcun modo essere legittimata. Peraltro, lo sta facendo danneggiando anche i propri affari ed isolandosi. Recentemente, l’American Semiconductor Industry Association ha denunciato che l’impatto negativo delle misure sanzionatorie sarà non solo sul livello dei profitti, ma anche sul progresso della ricerca e quindi sulla sicurezza nazionale del paese. Altre notizie confermano la volontà di molti operatori automotive statunitensi di spostarsi in Asia e di aumentare gli investimenti in Cina per fuggire alle nuove restrizioni. Esattamente l’opposto di ciò che si voleva ottenere con la guerra commerciale. Sempre per rimanere coi piedi per terra: a maggio di quest’anno il recupero delle vendite di auto in Cina era l’unico in terreno positivo, molto più netto e significativo del debole recupero di Usa ed Europa).
Altro esempio: chiudere WeChat negli Usa, oltre ad essere un atto che danneggia milioni di cittadini statunitensi, significa per Tencent perdere l’1% dei propri profitti; al contrario, se Apple dovesse perdere il proprio business in Cina perderebbe il 25% dei propri profitti.
Rafforzare i rapporti diplomatici Cina-Europa è più importante che mai per evitare gli esiti negativi di una nuova guerra fredda voluta e alimentata da Washington. Per questo, lavorare per iniziative multilaterali e cooperative, in un periodo di crisi globale, dovrebbe essere accolto con favore ed ampiamente sostenuto. In questo contesto, l’Italia, prima tappa dell’autorità cinese, assume un significato simbolico particolare, in quanto l’Italia è stata il primo Paese G7-UE-NATO ad aderire ufficialmente alla BRI nel marzo 2019 e negli ultimi anni le relazioni bilaterali sono rimaste solide. I progetti di telecomunicazioni Italia-Cina, ad esempio, sono aperti e concreti, secondo interessi strategici bilaterali e accordi precedenti, nonostante le pressioni della Casa Bianca su tutti i suoi alleati per bloccare le aziende cinesi.
Anche se il governo Conte-bis ha consolidato i meccanismi di controllo statale sui prossimi sviluppi IT, le relazioni tra i due paesi in questo campo di cooperazione sono promettenti e basate su interessi reciproci. Il governo italiano ha il diritto di monitorare le attività strategiche, tuttavia, senza prova alcuna, non può bandire le imprese cinesi se non vuole restare indietro. Per quanto ne sappiamo, le tecnologie cinesi potrebbero essere più sicure di quelle esistenti.
Più recentemente, Italia-Cina hanno scambiato aiuti e sostegno per affrontare le crisi del covid-19. Su questo rapporto di amicizia, radicato storicamente e culturalmente, è necessario costruire buone pratiche di cooperazione internazionale basate sul rispetto e sugli interessi reciproci. Le accuse contro la Cina sono fabbricate. Prendiamo il classico esempio della questione 5G e dei rapporti tra governo e aziende: le reti statunitensi e le società statunitensi hanno spiato costantemente il mondo intero. Dagli anni Settanta, almeno sette programmi di sicurezza nazionale hanno dettato una stretta collaborazione tra le società private statunitensi e le agenzie governative per scopi strategici (come i programmi Fairview e Prism, per fare gli esempi più noti). Ciò significa che gli operatori, le app, i cloud e le reti controllate da società degli Stati Uniti non sono sicure, sono vulnerabili e sono politicamente collegate al governo degli Stati Uniti ed ai suoi interessi particolari.
Partendo da questa verità storica, si può facilmente comprendere l’insensatezza delle accuse statunitensi nei confronti delle multinazionali cinesi.
Tornando alle relazioni bilaterali Cina-Italia e alla loro importanza, è necessario ribadire che la Cina, con un contributo alla crescita globale del 52% nel 2020-21 (Europa -1,5%, Nord-America 3,5%), secondo le stime di aprile del Fondo Monetario internazionale, sta supportando la ripresa globale, come già menzionato in merito al commercio. Inoltre, va tenuto presente che il mercato più promettente per il commercio e gli interessi industriali italiani è la Cina, dove purtroppo ancora non andiamo bene. Anche se gli altri mercati occidentali rimangono importanti, essi sono già consolidati e hanno pochi margini di crescita. Nel prossimo futuro, il nuovo potere d’acquisto delle classi medie verrà quasi esclusivamente dall’Asia. Inoltre, il lento e incerto percorso di ripresa negli Stati Uniti e nell’UE, le crisi economico-sanitarie e l’inefficienza politica in Occidente, nonché la costante divergenza tra il quadro di politica economica italiano e dell’UE, obbliga, pragmaticamente, il governo italiano ad affermare la perdurante necessità di migliorare la propria politica verso la Cina. Lo vorrebbero, lo ricordiamo, anche gli industriali e i commercianti statunitensi.
Non conta solo la cooperazione hard nelle infrastrutture, ma anche quella più soft nei settori della salute e della cultura, dove Cina e Italia possono aspirare a stabilire un nuovo modello di cooperazione a livello internazionale.
L’AUTORE
Fabio Massimo Parenti è attualmente Foreign Associate Professor di Politica Economica Internazionale alla CFAU. In Italia insegna all’Istituto Internazionale Lorenzo de’ Medici a Firenze, è membro del think tank CCERRI, Zhengzhou, e membro di EURISPES, Laboratorio BRICS, Roma. Il suo ultimo libro è Geofinance and Geopolitics, Egea. Su twitter @fabiomassimos