“Si parla sempre più spesso di cacciare le prostitute dalle strade e di rivedere la legge Merlin, che dispose la chiusura delle case chiuse. Ricordiamo cosa erano queste ‘case chiuse’. Il nome deriva dalle finestre chiuse, con le tapparelle abbassate, soprattutto per la ‘privacy’ per i frequentatori. Le prostitute erano schedate. Due volte alla settimana le ‘signorine’ venivano visitate da un medico e tutte le sere ricevevano la visita di agenti in borghese per accertarsi che tutto fosse in ordine. Lo Stato aveva un interesse economico, incassava le tasse di concessione della licenza e le imposte sui ricavi. Le prostitute erano costrette a lavorare ‘a cottimo’, più lavoravano e più guadagnavano. Una prestazione semplice faceva guadagnare una ‘marchetta’ ed ogni prostituta faceva 30-40 marchette al giorno. Per evitare che la frequenza degli incontri facesse nascere dei sentimenti fra cliente e prostituta, le ragazze venivano cambiate ogni 15 giorni. Il gruppo di ‘signorine’ di turno costituiva la ‘quindicina’, che contraddistingueva l’alto livello della casa. Nelle case di lusso la permanenza di una prostituta oltre la quindicina era dovuta al grande successo ottenuto presso i clienti. Le case disponevano di un salone in cui si potevano ammirare e scegliere le ragazze. La tradizione voleva che al compimento dei 18 anni i ragazzi fossero portati per la prima volta in queste case per conoscere le gioie del sesso, a volte, se accompagnati da adulti, venivano accettati anche prima. Nel 1948 fu vietata la concessione di nuove licenze, ma il provvedimento di chiusura, la legge Merlin, fu approvato solo nel 1958 dopo diverse resistenze. La legge fu approvata a scrutinio segreto con 385 si e 115 no il 29 gennaio del 1958. Sette mesi dopo non c’erano più casini in Italia… Almeno in quel senso.” ippolita zecca, genova
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