
di Beppe Grillo
Ogni anno, lo Stato italiano spende miliardi di euro per mantenere un patrimonio immobiliare pubblico inefficiente e in degrado. Attualmente, in Italia esistono circa 805.000 alloggi di edilizia residenziale pubblica, che ospitano circa 2,2 milioni di persone, mentre la richiesta di case popolari è in costante aumento, con un deficit abitativo stimato tra 316.000 e 459.000 unità. Le periferie si stanno trasformando in focolai di tensioni sociali, dove episodi di violenza tra residenti e occupanti abusivi sono ormai la norma. Il problema non è solo economico, ma anche di sicurezza, vivibilità e salute pubblica. Molti alloggi popolari versano in condizioni igieniche critiche, con infiltrazioni d’acqua, muffa, impianti fatiscenti e assenza di riscaldamento. Queste situazioni aumentano il rischio di malattie respiratorie e infezioni, soprattutto per bambini e anziani, trasformando il problema abitativo in una vera emergenza sanitaria.
Prendiamo l’esempio di Roma: solo nel 2023, il Comune ha stanziato 4,5 milioni di euro per la manutenzione delle case popolari, con oltre 1.000 interventi su più di 3.000 famiglie. Per il 2024, sono stati stanziati ulteriori 12,5 milioni di euro per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. Tuttavia, questi numeri rappresentano una frazione insignificante rispetto alle reali esigenze del patrimonio abitativo pubblico, lasciando migliaia di immobili in condizioni di abbandono.
Se analizziamo meglio la situazione, tra il 2023 e il 2024 Roma Capitale ha stanziato in totale 17 milioni di euro, una cifra che, distribuita su un numero enorme di immobili degradati, rappresenta una goccia nel mare. Nel frattempo, gli inquilini delle case popolari pagano affitti simbolici di 60-70 euro al mese, somme che non coprono minimamente i costi di gestione. Inoltre, i dipendenti del Comune di Roma addetti alla manutenzione del patrimonio ERP sono insufficienti per gestire tutte le procedure di affidamento dei lavori. Il risultato? Quartieri periferici sempre più degradati, con interi complessi trasformati in zone di illegalità. Le cronache raccontano di palazzi occupati da organizzazioni criminali, di spaccio e degrado sociale che rendono invivibili alcune aree metropolitane. Nel frattempo, le occupazioni abusive crescono, alimentando un circolo vizioso di conflitti tra residenti e istituzioni, mentre lo Stato continua a sperperare denaro pubblico senza risolvere il problema alla radice.
Serve una svolta: non più semplici rattoppi burocratici, ma una visione innovativa che trasformi gli alloggi popolari da fonte di spreco a motore di sviluppo sociale ed economico. La chiave è passare da una logica di gestione passiva a un modello che metta al centro il cittadino e lo renda parte attiva del cambiamento. Solo così si può trasformare il problema in un’opportunità. Cedere strategicamente le case popolari potrebbe sembrare un’idea radicale, ma se attuata con criterio, trasformerebbe un peso economico in una risorsa. Un concetto che si avvicina all’idea del Reddito Universale, dove lo Stato sceglie di investire direttamente nelle persone, affidando loro la responsabilità di gestire la propria casa. Questo approccio ribalterebbe il paradigma assistenzialista: non più un ente che mantiene immobili degradati con fondi pubblici, ma un sistema che restituisce dignità ai cittadini, mettendoli al centro delle politiche abitative e sociali. La cessione della casa rappresenterebbe un atto di fiducia dello Stato nei confronti delle persone, permettendo loro di sentirsi parte integrante della società, con una maggiore stabilità e un rinnovato senso di appartenenza.
Lo abbiamo visto nelle immagini degli incendi in California: la casa, anche per i miliardari, rappresenta tutto. Un’abitazione sicura e garantita non è solo un tetto sopra la testa, ma una base da cui ripartire per costruire una vita migliore.
Ecco allora di seguito alcune proposte concrete per affrontare questa emergenza abitativa:
- Cessione degli alloggi agli inquilini regolari. Lo Stato potrebbe trasferire la proprietà delle case popolari agli inquilini che ci vivono legalmente da anni, stabilendo criteri chiari (anzianità di residenza, regolarità nei pagamenti, ecc.). Questo eliminerebbe i costi di gestione pubblica e responsabilizzerebbe i cittadini, incentivandoli a mantenere gli immobili.
- Baratto amministrativo: casa in cambio di servizi. Invece di pagare un canone, gli assegnatari potrebbero restituire il beneficio alla comunità svolgendo lavori utili (manutenzione degli spazi pubblici, assistenza sociale, ecc.), alleggerendo i costi per i Comuni.
- Conversione in proprietà privata con vincolo di rivendita calmierata. Gli inquilini potrebbero diventare proprietari, ma con il divieto di rivendere la casa a prezzo di mercato per un certo numero di anni. In questo modo si eviterebbe la speculazione immobiliare e si garantirebbe l’accesso alla casa ai più bisognosi.
- Vendita simbolica a 1 euro con obblighi di ristrutturazione. Seguendo il modello delle case vendute nei borghi abbandonati, lo Stato potrebbe cedere le case popolari a un prezzo simbolico, vincolando i nuovi proprietari a ristrutturarle entro un determinato periodo. Questo ridurrebbe il degrado urbano e rilancerebbe il settore edilizio.
- Donazione a cooperative e associazioni no-profit. Gli alloggi potrebbero essere ceduti gratuitamente ad organizzazioni che si occupano di housing sociale, che li gestirebbero con affitti calmierati per le fasce più deboli, riducendo al contempo il peso economico sulla pubblica amministrazione.
Se adottate, queste strategie porterebbero benefici immediati:
- Riduzione dei costi di gestione e manutenzione pubblica.
- Riqualificazione di interi quartieri degradati.
- Maggiore sicurezza e minori occupazioni abusive.
- Stimolo al settore edile e creazione di nuovi posti di lavoro.
- Maggiore responsabilizzazione dei cittadini.
Roma è solo l’esempio di come un patrimonio immobiliare pubblico gestito male stia causando più danni che benefici. Situazioni simili si riscontrano in molte altre città italiane come Napoli, Torino, Milano, Palermo e Firenze, dove migliaia di alloggi popolari restano inutilizzati o degradati, mentre cresce la domanda abitativa. Si stima che nella Capitale ci siano oltre 7.000 alloggi popolari non utilizzati a causa della mancanza di lavori di ristrutturazione. Molti di questi si trovano in quartieri periferici come Tor Bella Monaca, Corviale, San Basilio e Ostia, zone che stanno diventando sempre più problematiche dal punto di vista sociale. Ogni anno, il Comune spende milioni di euro per la gestione e la manutenzione di questi alloggi, senza però riuscire a rimetterli in uso.
Con un piano di cessione gratuita con obbligo di ristrutturazione, il Comune potrebbe assegnare questi alloggi a famiglie con ISEE basso, giovani coppie, artigiani e piccole imprese locali, incentivando la riqualificazione urbana e riducendo le occupazioni abusive. Le stesse iniziative potrebbero essere applicate anche agli immobili di proprietà dello Stato, come le ex caserme oggi in stato di totale abbandono e gestite dall’Agenzia del Demanio. Questi edifici, presenti in città come Bologna, Genova e Bari, potrebbero essere riqualificati e destinati ad alloggi sociali o spazi per attività comunitarie.
Una casa non è solo un bene materiale, ma il luogo in cui la vita prende forma, dove si costruiscono ricordi e relazioni, dove ci si sente parte di una comunità. Garantire un’abitazione dignitosa a ogni cittadino non è solo una questione economica o sociale, ma il pilastro su cui uno Stato può realmente definirsi tale.