Ad Angelo Vassallo la parola eroe non sarebbe piaciuta. Perché gli eroi sono quelli che poi alla fine muoiono, e invece lui aveva una gran voglia di vivere. Per questo quando leggo “il sindaco eroe” penso a Vassallo e lo immagino incazzato.
Era un anno fa. Cinque settembre. Domenica. Ad Acciaroli, frazione di Pollica (Sa), una raffica di proiettili squarciò il silenzio di una serata di fine estate. Angelo Vassallo venne colpito in pieno. Stava tornando a casa. Il piombo lo sfigurò, gli sfondò il torace. Rimase immobile, lì, nella sua Audi. Dei killer si perse ogni traccia. E a dodici mesi da quell’omicidio i colpevoli non hanno ancora un nome.
Vassallo era un sindaco, ma non un sindaco qualunque. Pollica per lui era molto di più della sua città. Era un posto da difendere, da mettere al riparo dalle mire della camorra, dagli sgorbi edili tirati su dai clan che devono pulire il danaro proveniente dal narcotraffico. Si impegnava quotidianamente per difendere la sua terra, e mentre altri paesi diventavano cumuli di cemento, Pollica rimaneva unica nel suo splendore. Qualche settimana prima di morire aveva confidato a un suo amico assessore: “Questi vogliono mangiarsi il Cilento”. Questi erano i clan, in un territorio di confine dove camorra e ‘ndrangheta intrecciano i loro affari.
Era un sindaco meridionale, Vassallo. Un meridionale cocciuto, un meridionale di cui andare fieri, un santo laico. Un meridionale che aveva deciso da che parte stare, in un posto dove lo Stato e l’anti-Stato si confondono. Ma soprattutto era un meridionale solo.
Stamattina, in treno, sfogliando il giornale, ho scorso un box in fondo alla pagina: “Un anno fa l’omicidio del sindaco eroe”. L’ho richiuso in fretta. Non mi andava di leggere sempre le stesse storie. Vassallo vorrebbe solo giustizia. E quelli che “vogliono mangiarsi il Cilento” sono ancora lì.
Biagio Simonetta
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