di Gianluca Ferrara – La prima richiesta politica che il Movimento 5 Stelle fece quando entrò in Parlamento nel 2013 fu una mozione per chiedere il ritiro delle nostre truppe dall’Afganistan. Una richiesta che abbiamo reiterato negli anni e che aveva già portato a una sensibile riduzione del nostro contingente militare.
La recente scelta di lasciare l’Afganistan, mette fine a una delle guerre più lunghe e assurde della storia moderna. Una guerra punitiva decisa dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 contro il Paese sbagliato. Le responsabilità per gli attacchi al Word Trade Center andavano infatti individuate in altri Paesi come Pakistan e Arabia Saudita, non contro l’emirato islamico dei talebani, che di fatto ha resistito a vent’anni di guerra e occupazione. Una resistenza che non è stata un caso, infatti ora i talebani si apprestano a tornare al potere.
E’ stata una guerra lunga, più di quella del Vietnam, che ha devastato un Paese già in difficoltà, creando milioni di nuovi profughi, sostenendo un regime di criminali di guerra, integralisti e narcotrafficanti che hanno inondato di eroina mezzo mondo e lo stesso Afghanistan, con conseguenze sociali e sanitarie disastrose che si sommano alla povertà estrema.
Una guerra lunga, ma anche feroce che ha causato la morte di almeno 50 mila civili secondo le stime più conservative, 65 mila membri delle forze di sicurezza locali e almeno altrettanti combattenti della resistenza talebana. Anche le perdite occidentale sono state ingenti: oltre 3.500 soldati Nato e almeno 4 mila contractors. L’Italia ha pagato un prezzo altissimo in termini di vite: 53 soldati caduti e 700 feriti e mutilati.
Oltre agli ingenti costi umani di questa guerra, anche quelli finanziari sono stati ingenti. Almeno 2 mila e 300 miliardi di dollari sono stati spesi solo dagli Stati Uniti, più tutti quelli spesi dagli alleati: dai 25 miliardi di euro del Regno Unito agli 8 miliardi e mezzo di euro pagati dai contribuenti italiani. Se si fosse spesa una frazione minima di questi capitali non per distruggere l’Afghanistan, ma per ricostruirlo e aiutarlo, oggi questo Paese sarebbe un paradiso. Invece, come era prevedibile, l’Afghanistan è un inferno e le sofferenze del suo popolo sono destinate ad aumentare se non si interviene attraverso una missione di interposizione diplomatica tra le parti che in queste ore si stanno dividendo il Paese in una terribile guerra civile fatta di feroci vendette.
Dall’inizio del ritiro delle truppe occidentali le forze talebane stanno riconquistando province e città ad un ritmo esponenziale. Le notizie che ci giungono in queste ore ci inducono ad ipotizzare che a breve anche Kabul cadrà. Per scongiurare questo, gli USA stanno pianificando nuovi attacchi aerei e si ipotizza perfino un nuovo intervento militare diretto. No, non è questa la strada utile da perseguire. I talebani hanno manifestato volontà di mediazione e anche cambiamenti. Poche settimane fa il loro portavoce, Suhail Shaheen, ha dichiarato che loro sono pronti alla tregua se si farà un nuovo governo multietnico che includa anche loro che sono espressione della maggioranza pashtun, e che questo nuovo governo rispetterà le libertà delle donne come già è stato dato ordine di fare nei territori “riconquistati”.
Purtroppo nei mesi scorsi non si è voluto davvero trattare con i talebani e ora si preferisce nuovamente la guerra, seppur per procura, al dialogo.
Oggi dobbiamo intraprendere un altro percorso per mitigare gli errori commessi 20 anni orsono, bisogna investire risorse umane ed economiche non più per la guerra ma per la pace.
Dopo il mesto ritiro non dobbiamo e non possiamo abbandonare il popolo afgano. L’Italia può svolgere un ruolo da protagonista per lavorare alla riconciliazione nazionale con i talebani, alla ricostruzione del Paese e una rafforzata cooperazione civile allo sviluppo e per la tutela dei diritti umani.
Perseverare con gli stessi errori sarebbe ancora una volta fallimentare. La storia ci ha insegnato che prima degli scellerati attacchi del 2001, indiani, greci, arabi, mongoli, britannici e sovietici non sono mai riusciti a conquistare l’Afghanistan, tanto da essere riconosciuto l’appellativo di “cimitero degli imperi”.
Prima che la situazione degeneri del tutto, prima che i talebani, inascoltati nei loro appelli per un vero dialogo, riprendano il potere con la forza e con ferocia vendicativa, è indispensabile lavorare per favorire la riconciliazione nazionale, disarmare i miliziani e favorire la loro reintegrazione. I pashtun, come detto, sono la maggioranza etnica del Paese e vanno inclusi nel governo di un nuovo Afghanistan federale. Questa deve essere la nuova missione italiana e occidentale in Afghanistan, una vera “missione di pace”.