L’inquinamento da sostanze per- e polifluoroalchiliche, note come PFAS, rappresenta una delle crisi ambientali più gravi in Europa. Questi composti chimici sintetici, utilizzati in una vasta gamma di prodotti di uso quotidiano, spesso senza che ce ne rendiamo conto, sono ovunque: dai rivestimenti antiaderenti delle padelle ai tessuti impermeabili, dagli imballaggi alimentari resistenti ai grassi alle schiume antincendio. La loro presenza nei prodotti che acquistiamo regolarmente è dovuta alle loro straordinarie proprietà: respingono acqua e oli, resistono al calore e sono estremamente durevoli. Tuttavia, questa durabilità è anche il motivo per cui rappresentano una seria minaccia per l’ambiente e la salute umana. Essendo altamente persistenti, i PFAS non si degradano facilmente, accumulandosi nel suolo, nell’acqua e negli organismi viventi.
Uno studio del Forever Pollution Project, pubblicato nel 2023, ha mappato quasi 23.000 siti contaminati e 21.500 siti di sospetta contaminazione in Europa, evidenziando l’entità del problema. Affrontare questa contaminazione comporta costi straordinari.
Secondo le stime, il costo per bonificare i siti contaminati dai PFAS potrebbe superare i 2.000 miliardi di euro nei prossimi 20 anni, pari a circa 100 miliardi di euro all’anno. Questi calcoli non tengono conto dei costi indiretti legati alla salute pubblica. Le malattie associate ai PFAS, tra cui tumori, problemi al sistema immunitario, disfunzioni endocrine e riduzione della fertilità, rappresentano un ulteriore onere economico.
La bonifica dei PFAS è estremamente complessa e costosa. Per trattare le acque sotterranee contaminate si utilizzano metodi di pompaggio e trattamento, che possono costare tra 500.000 e 2 milioni di euro per ettaro. La rimozione di terreno contaminato ha costi simili, e anche il processo di incenerimento, spesso inefficace, può generare sottoprodotti tossici, aggravando ulteriormente la situazione. Ogni sito richiede interventi personalizzati, e i costi per la bonifica di un singolo impianto industriale possono raggiungere decine di milioni di euro.
In Italia, l’inquinamento da PFAS è particolarmente preoccupante. Secondo un rapporto di Greenpeace Italia basato su dati ISPRA raccolti tra il 2019 e il 2022, i PFAS sono stati rilevati in quasi 18.000 campioni d’acqua, pari al 17% delle analisi effettuate. Le regioni con la più alta percentuale di campioni contaminati includono Basilicata (31%), Veneto (30%) e Liguria (30%). Anche altre regioni come Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, Abruzzo e Campania presentano tassi di positività superiori al 10%. La situazione in Veneto è particolarmente grave. Nelle province di Vicenza, Padova e Verona, l’inquinamento ha contaminato le falde acquifere, influenzando l’acqua potabile e le produzioni agricole locali. Nel 2021, un rapporto ha rivelato che in 51 comuni veneti sono stati trovati alimenti contaminati, dalle albicocche alle uova, con livelli di PFAS preoccupanti. In Lombardia, quasi il 19% dei campioni d’acqua potabile analizzati tra il 2018 e il 2022 conteneva PFAS. La provincia di Lodi ha registrato l’84,8% di campioni positivi, seguita da Bergamo con il 60,6% e Como con il 41,2%. Anche in Piemonte, campionamenti effettuati nel 2022 hanno mostrato la presenza di PFAS in aree precedentemente non monitorate, con circa 125.000 persone che potrebbero aver consumato acqua contaminata da PFOA, classificato dall’OMS come cancerogeno.
Nonostante l’urgenza, le normative per regolamentare i PFAS procedono lentamente. Il 2023 ha visto una proposta della Commissione Europea per una restrizione sull’uso di questi composti, ma l’approvazione potrebbe richiedere anni. Intanto, l’industria chimica continua a fare pressione per ritardare l’attuazione di queste misure, sostenendo che la sostituzione dei PFAS con alternative meno dannose richiede tempo e investimenti significativi.
Il ritardo nella regolamentazione aumenta il rischio di danni irreversibili. L’esposizione ai PFAS è associata a gravi problemi di salute. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, può aumentare del 20-30% il rischio di sviluppare tumori renali e testicolari. Sono stati documentati anche impatti sulla fertilità, complicanze in gravidanza, malattie cardiovascolari e disfunzioni immunitarie. I costi associati al trattamento di queste patologie potrebbero aggiungere ulteriori 80 miliardi di euro all’anno al conto complessivo.
Ogni giorno di ritardo aumenta il costo economico, ambientale e umano. Prevenire ulteriori danni e bonificare ciò che è già stato compromesso non è solo una questione di numeri, ma una responsabilità collettiva verso le generazioni future.