di Marco Bella – L’attuale governo sembra intenzionato a un ritorno al nucleare in Italia, anche se questo presenta tantissime incognite. Sono stato audito presso la X commissione della Camera dei Deputati (attività produttive) e ho tentato di spiegare che cosa è successo a quei paesi occidentali che hanno provato a riavviare programmi nucleari in tempi recenti e quali sono stati i problemi che hanno affrontato.
Innanzi tutto, nessun ente scientifico internazionale raccomanda di tornare al nucleare in Italia oppure dice che il nucleare in Italia sia necessario. La IEA, l’agenzia internazionale per l’energia non fa alcuna raccomandazione a quei paesi che il nucleare non lo hanno e rispetta le loro scelte. E lo stesso vale per IPCC, il panel intergovernativo sul cambiamento climatico. La necessità di un ritorno al nucleare è una posizione puramente politica. Alcuni politici sostenuta si sono improvvisati scienziati leggendo qualche cosa su Facebook.
La principale criticità per un ritorno al nucleare in Italia è legata alle tempistiche. Se Finlandia e Francia ci hanno messo 18 e 17 anni (forse) per avere una produzione di energia dopo la posa della prima pietra e anche il Regno Unito sembra essere sulla stessa strada, quanto ci vorrebbe in Italia? Venti anni, solo per accendere la prima lampadina, potrebbe essere persino una previsione ottimistica.
Teniamo conto che prima di iniziare i lavori servono almeno cinque anni, e che a differenza di Francia, Finlandia, UK l’Italia deve ricostruire il settore nucleare e soprattutto trovare i siti che questi paesi a differenza nostra già avevano. Se in Italia si rischia una procedura di infrazione europea perché non si riesce a trovare dove mettere il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi, visto che nessun comune lo vuole ospitare, quanto è realistico trovare in tempi ragionevoli i siti per cinque-sei centrali nucleari?
La questione tempi è centrale anche per i costi. Ho sentito dire che il nucleare abbasserebbe le bollette. Ammesso questo possa essere vero, ovviamente succede solo quando e se si riescono a costruire finalmente queste benedette centrali. I nove miliardi di dollari spesi per la centrale di Virgil Summer, progetto cancellato perché divenuto antieconomico, sono stati riversati direttamente nelle bollette degli utenti della Carolina del Sud senza che si sia avuta alcuna produzione di energia.
Pensate davvero che in Italia, dove numerose grandi opere sono state iniziate e mai finite, questo non possa accadere? La realtà è che con tempi imprevedibili anche i costi diventano imprevedibili.
Il piano di rinascita nucleare francese è visto con grande scetticismo non dalle associazioni ambientaliste, ma dal Financial Times, perché mancano oramai tutta una serie di figure professionali altamente specializzate come i saldatori, che prima di operare in un impianto nucleare hanno bisogno di un addestramento che può richiedere dai tre ai quattro anni.
Ci sono però alcuni paesi dove si punta anche sul nucleare. Uno di questi è la Cina, che tuttavia sta investendo molto di più nelle rinnovabili. La produzione elettrica da nucleare in Cina ha raggiunto meno del 5% dopo trenta anni dall’avvio del primo reattore. Nel biennio 2022-2023 la produzione da nucleare in Cina è aumentata di circa 27 TWh, (da 407 a 434) TWh. Nello stesso periodo la produzione di energia elettrica da fotovoltaico ed eolico (non semplice potenza installata: produzione di energia!) invece è cresciuta di 460 TWh, (da 980 a1440 TWh), diciassette volte tanto. Qual è il settore che ha contributo in modo significativo alla decarbonizzazione di quella che è oramai la maggiore economia mondiale?
L’altro paese che investe tanto nel nucleare è la Russia, che però, come sottolinea l’autorevole rivista Nature Energy, sta attuando una politica di diplomazia dell’energia nucleare verso alcuni paesi come il Bangladesh, l’Egitto e la Turchia.
Proprio in quest’ultima nazione lo scorso aprile è stata inaugurata la centrale di Akkuyu (che ancora non produce energia) dal presidente Erdogan insieme a Vladimir Putin, presente in videocollegamento. La Russia ha finanziato, costruito, gestirà e fornirà il combustibile nucleare a questa centrale. In pratica, la Russia avrà un’infrastruttura energetica chiave in quella che di fatto è una sua enclave all’interno di un paese della Nato. Lascio immaginare quanto questa possa essere una buona idea.
Dopo essere cascati nella dipendenza energetica da gas russo, vogliamo rischiare di finire in quella da combustibile nucleare? D’altronde, fino ad adesso non è stato possibile emanare sanzioni alla compagna statale russa Rosatom a causa della dipendenza di molti paesi proprio dal combustibile nucleare che arriva direttamente o indirettamente dalla Russia. Ricordiamo che il combustibile nucleare non è il semplice minerale di uranio. Gli Stati Uniti mentre fornivano armi all’Ucraina, che adesso potranno essere usate anche per colpire la Russia, hanno pagato miliardi alla Russia per acquistare combustibile nucleare a causa della loro dipendenza proprio dalla Russia.
Qui un riassunto della mia audizione, ove ho aggiunto le diapositive che potevano vedere i membri della commissione ma non il pubblico e le domande del deputato m5s Enrico Cappelletti.
In conclusione, ho spiegato quali sono stati i problemi incontrati dalle altre nazioni e quali quelli che incontreremmo noi. Perché bisogna imparare dagli errori degli altri, visto che non si può vivere abbastanza per commetterli tutti noi.