In Francia, giovedì scorso, è stata approvata una legge volta a penalizzare la fast fashion e a vietare la pubblicità dei suoi marchi. Il disegno di legge prevede l’aumento graduale delle sanzioni fino a 10 euro per singolo capo di abbigliamento entro il 2030, nonché il divieto di pubblicità per tali prodotti.
La popolarità dei rivenditori di moda come ad esempio Shein e Temu ha sconvolto il settore della vendita al dettaglio. “Questa evoluzione del settore dell’abbigliamento verso la moda effimera, combinando maggiori volumi e prezzi bassi, sta influenzando le abitudini di acquisto dei consumatori creando impulsi di acquisto e un costante bisogno di rinnovamento, che non è privo di conseguenze ambientali, sociali ed economiche”, si legge nel disegno di legge.
Il disegno di legge arriva mentre il ministro dell’ambiente francese ha dichiarato che proporrà un divieto dell’Unione europea sulle esportazioni di vestiti usati, nel tentativo di affrontare l’aumento massiccio dei rifiuti tessili.
L’anno scorso, il Paese ha lanciato un programma di riparazione per incoraggiare le persone a riparare vecchi vestiti e scarpe invece di buttarli via. Il governo francese ha stanziato 154 milioni di euro per l’iniziativa, che rimborsa agli acquirenti fino a 25 euro per ogni capo riparato. L’organizzazione no-profit incaricata di gestire il progetto, Refashion, afferma che nel 2022 sono stati immessi sul mercato francese 3,3 miliardi di capi di abbigliamento, biancheria per la casa e calzature. All’epoca, il ministero dell’ecologia del paese aveva dichiarato che i francesi buttavano via 700.000 tonnellate di vestiti – due terzi dei quali finiscono nelle discariche – ogni anno.
L’ industria tessile rappresenta il 10% delle emissioni di gas serra, molto più di quelle aeree e marittime messe insieme. Questa percentuale potrebbe salire al 26% nel 2050 se le attuali tendenze di consumo continueranno.
“Il poliestere è la materia prima più prodotta, richiede 70 milioni di barili di petrolio per la sua produzione annuale ”, ha indicato Anne-Cécile Violland, “mentre il cotone , la prima alternativa vegetale alle fibre sintetiche, è la coltura più popolare, ma grande consumatore di pesticidi nel mondo. Per non parlare dei coloranti, delle sostanze tossiche che finiscono nei fiumi e delle microfibre di plastica rilasciate ad ogni lavaggio dagli indumenti realizzati in materiali sintetici, che rappresentano più di 24 miliardi di bottiglie di plastica ogni anno”.
Il testo di legge propone di agire su tre leve:
- Il primo punto mira a definire la pratica commerciale della moda fast fashion sulla base di “ soglie ” fissate dal “decreto”. Richiede alle persone e alle aziende che commercializzano articoli “fast-fashion” di sensibilizzare i consumatori sull’“impatto ambientale ” di questo settore e sulle “possibilità di riutilizzo e riparazione di abbigliamento e accessori”.
- Il secondo punto propone l’istituzione di ” un sistema di premi e penalità ” per le aziende tessili, che potrebbe avere un impatto sui prezzi, al fine di incoraggiare il consumo di prodotti più ” sostenibili ” e garantire ” una concorrenza più equa “, secondo Anne -Cécile Violaland. Il testo prevede un “aumento” di queste sanzioni, che verranno reimmesse direttamente nel settore attraverso un’eco-organizzazione, che finanzierà così “la gestione della raccolta, cernita e trattamento dei prodotti usati” o addirittura il pagamento di “bonus alle aziende impegnate in approcci di eco-design”.
- Il terzo e ultimo punto suggerisce di vietare ogni forma di pubblicità per tutto ciò che riguarda la moda usa e getta, con la loro onnipresenza sui social network e le sponsorizzazioni degli influencer che hanno decretato il successo di questi marchi.
Scrivendo su X, il ministro francese dell’Ambiente, Christophe Béchu, ha descritto il disegno di legge come un “grande passo avanti”, aggiungendo: “Un grande passo è stato fatto per ridurre l’impronta ambientale del settore tessile”.