Nel 1968 le nazioni del mondo firmarono il Trattato di non proliferazione nucleare, volto a ridurre, se non eliminare, una minaccia esistenziale: le armi nucleari.
Il trattato, ratificato da più di 190 nazioni, ha 3 pilastri fondamentali: disarmo, non proliferazione e uso pacifico del nucleare, ovvero, esclusivamente per la produzione di elettricità.
Il trattato è ampiamente visto come un punto di riferimento della diplomazia internazionale che ha ridotto significativamente il potenziale di uno dei peggiori incubi dell’umanità ed è diventato il modello per altri trattati.
Potrebbe quindi accadere la stessa cosa per petrolio, gas e carbone?
E’ questa la premessa del Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, presentato il mese scorso da una coalizione globale di attivisti e accademici. La scorsa settimana, la città canadese di Vancouver è stata la prima al mondo a firmare il trattato, l’inizio di quello che gli organizzatori sperano che possa essere una cordata di città, stati, province e nazioni.
Il carbone, il petrolio e il gas sono responsabili di quasi l’80% di tutte le emissioni di anidride carbonica dalla rivoluzione industriale. Come si legge nel trattato, l’eliminazione graduale della produzione di combustibili fossili e il rapido avanzamento verso soluzioni più sicure e sostenibili richiedono una cooperazione internazionale senza precedenti in tre aree principali:
- Non proliferazione: porre fine all’espansione in nuove riserve di carbone, petrolio e gas naturale per limitare le emissioni di carbonio.
- Disarmo globale: eliminare gradualmente le scorte attuali per mantenere il mondo al di sotto di 1,5 gradi Celsius, dato che i giacimenti di petrolio e gas esistenti e le miniere di carbone contengono emissioni di anidride carbonica sufficienti per superare facilmente tale limite.
- Transizione pacifica: promuovere la diversificazione economica, le energie rinnovabili e altre soluzioni a basse emissioni di carbonio in un modo che “non lasci indietro lavoratori, comunità o paesi”.
La logica alla base del trattato è chiara: la crescita prevista dei settori del petrolio, del gas e del carbone, sebbene in rallentamento, rimane estremamente disallineata con le riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie per raggiungere l’obiettivo di aumento della temperatura massima di 1,5 gradi C stabilito nel 2015 dall’Accordo di Parigi. Poiché le forze di mercato stanno sempre più mettendo da parte i combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili e di altre tecnologie, le industrie del petrolio e del carbone sembrano decise a continuare a sfruttare le rimanenti riserve non sfruttate.
Gli studi pubblicati nelle ultime settimane dall’International Energy Agency, dall’US Energy Information Administration e dall’OPEC indicano un calo delle fortune per le società di combustibili fossili nonostante la continua crescita. Allo stesso modo il carbone è diminuito precipitosamente negli Stati Uniti, insieme al suo peso politico, per la chiusura di stabilimenti e miniere, insieme ai fallimenti di attori chiave del settore. E la Cina, il più grande consumatore di carbone al mondo, si è impegnata il mese scorso a diventare carbon neutral in 40 anni.
In tale contesto, un “trattato di non proliferazione” potrebbe accelerare queste tendenze e alimentare il già impressionante aumento delle energie rinnovabili e dello stoccaggio di energia?
“Non possiamo garantire un clima sicuro e concentrarci sulla costruzione di soluzioni se stiamo ancora riversando tutto il nostro capitale politico, intellettuale e finanziario nell’espansione di petrolio, gas e carbone”, ha detto Tzeporah Berman, l’attivista canadese di lunga data che è tra i principali ideatori del trattato. “Abbiamo un sistema in cui sappiamo che i combustibili fossili sono l’80% del problema climatico. E attualmente non limitiamo la produzione di combustibili fossili”. L’accordo di Parigi, dopotutto, limita solo le emissioni di carbonio. Non dice nulla sul frenare la produzione dei combustibili che causano la maggior parte di quelle emissioni.
Gli organizzatori del trattato stanno sviluppando inoltre un “Registro globale dei combustibili fossili”, un database pubblico di tutte le “riserve di combustibili fossili e di produzione a livello globale”, che si dice “fornirà la linea di base mancante dei combustibili fossili conosciuti, stimati e pianificati per l’estrazione”.
Il trattato sulle armi nucleari aiutò a prevenire la teoria della Distruzione mutua assicurata per più di mezzo secolo, durante il quale il mondo ha visto alcuni dei suoi maggiori progressi. Speriamo che questo trattato possa essere una strategia chiave per frenare la distruzione cui abbiamo portato la nostra Terra.
Sul sito dell’organizzazione è presente un modulo per dare il proprio supporto, come organizzazione, stato, nazione, città o come semplici cittadini. Ecco il link con tutte le informazioni: https://www.fossilfueltreaty.org/ (Fonte Greenbiz)