di Clara Egger & Raul Magni-Berton – Un anno fa pubblicavamo RIC: le Référendum d’initiative citoyenne expliqué à tous. Au cœur de la démocratie directe. Questo libro, scritto in francese nel bel mezzo della contestazione dei Gilets Gialli, (a breve in italiano su questo blog) affronta la loro principale rivendicazione: la democrazia diretta. In Italia, questa rivendicazione era stata portata nelle piazze e nelle urne diversi anni prima dal Movimento Cinque Stelle. Inevitabilmente, l’esercizio del potere ha portato il Movimento a concentrare le sue energie sulle politiche più urgenti, lasciando in secondo piano i suoi principi filosofici.
Con questo testo vogliamo contribuire a rilanciare l’importanza di questa esigenza fondamentale. È fondamentale perché l’onestà e l’efficienza non sono solo una questione di buona volontà. Sono una questione di regole. Quando le regole sono buone, le persone (e i politici) diventano buoni.
In Francia, il movimento dei Gilets Gialli ha occupato le rotonde ogni sabato dal novembre 2018. La sua principale richiesta quella del referendum d’iniziativa popolare, ribattezzato referendum d’iniziativa cittadina (RIC). Ma attenzione, la richiesta è più esigente di quanto potrebbe sembrare a prima vista: l’obbiettivo è ottenere il RIC “CARL”, capace di cambiare la Costituzione, abrogare le leggi, revocare i rappresentanti e redigere leggi ordinarie. In confronto, il tradizionale referendum abrogativo italiano costituisce solo un quarto di questa rivendicazione. Se ad esso si aggiunge il referendum propositivo attualmente promosso dal Movimento 5 Stelle, si ottiene solo la metà della pretesa dei Gilets Gialli.
La reazione della maggior parte dei partiti e dei media francesi non si è fatta attendere. “Strampalata”, “Fascista”, “Pericolosa”, “Utopica”: sono esempi di attributi che questa richiesta, e il movimento dei Gilets Gialli per estensione, hanno subìto. La conseguenza di queste parole è stato il dispiegamento di agenti di polizia armati in modo inedito – e insufficientemente addestrati – che ha dato luogo a una repressione a sua volta senza precedenti: oltre 2.000 feriti, 82 dei quali gravemente, 152 feriti alla testa, 17 persone hanno perso un occhio e 4 una mano.
Prima di affrontare l’argomento in questo modo, sarebbe stato utile per i media e i politici informarsi meglio. Il referendum d’iniziativa popolare esiste, in una forma simile a quella richiesta dai Gilets Gialli, da più di cento anni in Svizzera e nella metà degli stati negli Stati Uniti. Oggi esiste in diversi formati in 36 paesi del mondo e, a livello locale, in migliaia di luoghi. Non è quindi né strampalato né utopistico.
Questa varietà, nel tempo e nello spazio, ha naturalmente portato a un numero impressionante di studi, che forniscono risposte alle questioni sollevate nel dibattito pubblico su questo argomento.
Quando viene introdotto il RIC, cosa cambia? Ci sono differenze tra gli stati che la praticano e quelli che non la praticano? Cosa succede se questa procedura può cambiare la costituzione o cacciare i rappresentanti eletti?
Il primo errore da non commettere è quello di scegliere alcuni casi famosi per trarre frettolosamente una conseguenza generale. Un esempio è il fatto che in Svizzera il suffragio femminile è stato ottenuto nel 1971 a livello federale, 25 anni dopo l’Italia. E’ colpa del referendum? No, perché in Colorado gli uomini hanno esteso il voto alle donne in un referendum del 1894, 52 anni prima dell’Italia.
Un altro esempio: negli Stati Uniti, i referendum sulla pena di morte tendono in genere a rifiutare l’abolizione, per cui molti Stati continuano a prevederla nelle loro legislazioni. E’ colpa del referendum? No, gli svizzeri hanno definitivamente abolito la pena di morte con un referendum nel 1938 e il Texas – che non ha una legislazione diretta – rimane di gran lunga il paladino della pena di morte negli Stati Uniti.
Dopo una lunga lista di aneddoti di questo tipo, inutili per tirare qualsiasi tipo di conclusione, è necessario approfondire gli studi statistici che sono stati condotti per oltre 50 anni su questi temi. Essi portano a una conclusione difficile da contestare con i fatti: i Gilets Gialli hanno ragione. In primo luogo, è meglio avere il RIC che non averlo. In secondo luogo, è molto meglio avere un RIC che può cambiare la costituzione piuttosto che un RIC che non può farlo. In terzo luogo, questo RIC dovrebbe anche essere associato al referendum obbligatorio, che impedisce la ratifica di modifiche costituzionali senza usare il referendum.
Ecco qualche esempio delle risposte che ci danno.
- I diritti individuali non sono a rischio quando il RIC può modificare la costituzione. Al contrario, i paesi che consentono tale opzione hanno una maggiore longevità democratica.
2. L’esistenza del referendum obbligatorio e del RIC sulle questioni fiscali e di bilancio riduce il debito pubblico, perché impedisce che le tasse vengano usate per premiare la clientela elettorale.
3. L’esistenza del referendum obbligatorio e del RIC sulle questioni costituzionali riduce la corruzione e i privilegi dei politici.
4. L’esistenza del referendum obbligatorio e del RIC sulle questioni costituzionali aumenta la soddisfazione per il sistema politico, soprattutto tra coloro che sono solitamente i più critici et più svantaggiati (giovani, minoranze, persone con poche qualifiche).
5. L’esistenza del referendum obbligatorio e del RIC rende le persone più informate e competenti sulle questioni politiche e dinamizza alle associazioni.
6. L’esistenza del referendum obbligatorio e del RIC sulle questioni costituzionali riduce il divario tra le preferenze dei governanti e quelle dei governati.
Naturalmente, queste conseguenze sono invisibili in Italia. Infatti, il suo referendum abrogativo vieta di prendere decisioni proprio dove potrebbero avere conseguenze positive: modifiche costituzionali e questioni fiscali. Inoltre, tecnicamente, il requisito del quorum fornisce un incentivo per molte persone a ignorare il referendum, uccidendo così l’effetto del RIC sulla qualità del dibattito pubblico.
Al di là degli aspetti tecnici, noiosi da leggere ma fondamentali, la soluzione è piuttosto semplice: basta cambiare un articolo della Costituzione, quello che determina come si cambia la Costituzione (l’89 in Francia, il 138 in Italia).
Questo cambiamento dovrebbe introdurre due cose: il referendum obbligatorio (nessuna modifica costituzionale senza referendum) e l’iniziativa popolare (i cittadini possono redigere un emendamento costituzionale e indire un referendum se la loro proposta riceve un certo sostegno).
Al di là dell’utilità pratica di questo cambiamento per la qualità della politica, c’è anche una giustificazione più filosofica che finora non abbiamo approfondito.
Le nostre costituzioni parlamentari sono progettate in modo da avere due livelli di produzione regolamentare: un livello veloce – il governo – e un livello più lento, ma più rappresentativo – il Parlamento. Affinché l’equilibrio funzioni, il livello più lento deve essere in grado di prendere decisioni che possono annullare quelle prese dal livello veloce. Se così non fosse, come ad esempio in Siria, il sistema non sarebbe democratico, ma dominato dall’esecutivo. Ma in Europa, formalmente, solo il Parlamento può fare leggi, che sono gerarchicamente superiori ai decreti e agli ordini governativi. Tuttavia, questo equilibrio si sta rivelando instabile in diverse democrazie – tra cui l’Italia e la Francia – dove l’esecutivo tende ad assumere troppo potere.
La democrazia diretta offre un terzo livello, ancora più lento e legittimo: l’iniziativa popolare e il referendum. Se questo meccanismo produce decisioni meno importanti di quelle prodotte dal Parlamento (come avviene in Italia), allora conterà quanto il Parlamento in Siria. Cioè quasi niente. I veri capi rimarranno i parlamentari. Se invece l’iniziativa popolare e il referendum producono decisioni più importanti di quelle prodotte dal Parlamento (controllando le leggi costituzionali, come avviene in Svizzera), allora i poteri saranno davvero più divisi e i rappresentanti, benché saranno ancora lì a lavorare, non saranno più lì a comandare. Questo è il significato della democrazia diretta.
Riveniamo per finire all’Italia. Il lavoro di Riccardo Fraccaro e dei suoi collaboratori nel preparare un “referendum propositivo” è stato, a nostro avviso, per molti aspetti positivo, in particolare dal punto di vista tecnico. Però la cosa più importante è stata dimenticata. Il referendum propositivo non permette ai cittadini di prendere direttamente decisioni più importanti di quelle del parlamento. Al contrario, il parlamento continuerà a gestire le questioni costituzionali senza il controllo dei cittadini.
Circa un anno fa, il blog delle stelle scriveva “La sovranità – lo dice la Carta fondamentale – appartiene al popolo! E con il referendum propositivo potrà esercitarla concretamente, naturalmente nei limiti della Costituzione”. Ci siamo chiesti perché dire “naturalmente”? La sovranità significa poter disporre dell’ultima parola, il che implica poter cambiare la costituzione.
Questo obbiettivo è, secondo noi, il passo in avanti che resta da fare in Italia per non perdere il treno della democrazia diretta.
GLI AUTORI
Raul Magni-Berton è professore di scienze politiche a Sciences Po Grenoble, in Francia. Ha insegnato anche a Parigi, Montreal e Bordeaux. Specialista dei sistemi democratici contemporanei, ha scritto diversi libri e articoli, tra cui Démocraties Libérales (ed. Economica 2012) et Le référendum d’initiative citoyenne expliqué à tous (ed. FYP 2019 con Clara Egger). Ha anche guidato un team di esperti per organizzare un referendum di iniziativa popolare a Grenoble, e ha partecipato a diverse iniziative per promuovere la democrazia diretta principalmente in Francia. In particolare, è co-fondatore dell’Institut Territoires Democratiques, che mira a promuovere le proprietà delle istituzioni di controllo dei cittadini.
Clara Egger é professoressa assistente in relazioni internazionali presso l’Università di Groningen (Paesi Bassi). I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle modalità e gli impatti dell’interventismo straniero nei conflitti interni (con particolare interesse per i cosiddetti interventi umanitari) e sul controllo democratico della politica estera e dell’azione multilaterale. La sua ricerca è stata insignita del Premio del Fondo della Croce Rossa ed è stata finalista del Premio Tesi Jean Blondel per le migliori tesi europee di scienze politiche. Ha scritto recentemente Le référendum d’initiative citoyenne expliqué à tous (ed. FYP 2019 con Raul Magni Berton). Dirige il progetto EXCEPTIUS sulle misure eccezionali durante la crisi sanitaria. E’ membro du Meer Democratie et di Démocratie Maintenant che mirano a promuovere la democrazia diretta nei Paesi Bassi e in Francia.