di J.Z. Scott – Esiste una nuova forma di povertà collettiva che molti di noi non riconoscono e che è necessario comprendere in fretta. Sono certa abbiate notato come negli ultimi 20 anni sia emersa un tipo di risorsa: ha generato benessere a una velocità mostruosa. Come strumento, ha portato le aziende a una comprensione profonda del cliente, all’efficienza operativa e a un’enorme crescita del fatturato. Ma per alcuni, ha anche fornito uno strumento per manipolare le elezioni democratiche o esercitare sorveglianza a scopi di lucro, o politici. Cos’è questa risorsa miracolosa? Avete indovinato: i dati.
7 delle 10 aziende più importanti al mondo operano in ambito tecnologico e/o generano profitti direttamente dai dati, o sono alimentate dai dati stessi. La grande maggioranza dei decisori aziendali considera i dati una risorsa indispensabile per il successo.I dati stanno cambiando il paradigma per le nostre vite personali, economiche e politiche. Chi possiede i dati, possiede il futuro.
Ma chi li produce? Noi, con il nostro smartphone, ad esempio, attraverso le nostre ricerche su Google. Si stima che entro il 2030, tra 10 anni, saranno connessi, nel mondo, 125 miliardi di dispositivi. Una media di circa 15 dispositivi a persona. Produciamo già dati, quotidianamente. E ne produrremo esponenzialmente di più. Nel 2018, le entrate di Google, Facebook e Tencent messe insieme, sono state di 236 miliardi di dollari americani. Ma quanti di noi sono stati pagati per i dati che abbiamo generato? Nessuno.
I dati hanno un valore immenso, ma sono controllati e monopolizzati. Siamo tutti materie prime umane per quelle grandi aziende, ma nessuno viene pagato. E non solo, non siamo nemmeno considerati parte dell’equazione delle entrate. Qualcun altro possiede tutto e noi non possediamo nulla.
Attualmente, l’opinione pubblica è davvero concentrata sulle regole e i problemi della privacy quando si parla di possesso di dati. Ma vorrei fare una domanda: e se guardassimo la proprietà dei dati da tutt’altra prospettiva? E se il possesso di dati sia, in realtà, un problema personale, individuale ed economico? E se, nella nuova economia digitale, potessimo avere un pezzo di quello che creiamo e dare alle persone la libertà di possedere i dati privati?
Il concetto legale di proprietà prevede il possesso, l’uso, il dono, il passaggio, la distruzione, lo scambio o la vendita della risorsa a un prezzo accettato dal proprietario. E se dessimo la stessa definizione ai dati individuali, in modo che ognuno possa usarli, distruggerli, o scambiarli a un prezzo prescelto?
I più critici potrebbero dire: “Non scambierei mai e poi mai i miei dati, per nessuna somma di denaro”. Ma lasciate che vi ricordi che è proprio quello che stiamo facendo, solo che quella somma è zero. In più, la privacy è un problema personale e dalle tante sfumature. Potreste avere il vantaggio di dare più importanza alla privacy che ai soldi, ma ad esempio per milioni di piccoli proprietari di società in Cina, che non ottengono facilmente prestiti bancari, usare i propri dati per avere rapidi prestiti da prestatori con IA può soddisfare i loro bisogni più urgenti. Quello che è privato per uno, è diverso da quello che è privato per gli altri. Quello che è privato per te ora, è diverso da quello che era privato quando eri un adolescente.
Siamo sempre impegnati, a volte inconsciamente, a scendere a compromessi basandoci su convinzioni personali e sulle diverse priorità. Ecco perché il possesso di dati sarebbe incompleto senza il potere di negoziare i prezzi. Permettendo alle persone di fissare un prezzo, guadagniamo un mezzo che riflette le nostre diverse preferenze personali. Ad esempio, potreste scegliere di donare i vostri dati se il contributo a una particolare ricerca medica ha un significato per voi. O se avessimo gli strumenti per dare ai dati comportamentali un prezzo di, diciamo, 100.000 dollari, dubito che un gruppo politico potrebbe decidere o manipolare il vostro voto. Voi avete il controllo. Voi decidete.
Le tendenze indicano già un movimento crescente e molto potente per il possesso dei dati individuali. Primo, le startup stanno già creando strumenti per permetterci di riprendere parte del controllo. Un nuovo browser chiamato Brave dà agli utenti “scudi coraggiosi” per bloccare le raccolte di dati e i tracker aggressivi ed evitarne la perdita, non come altri browser. In cambio, gli utenti riprendono parte della trattativa e del potere di prezzo. Quando gli utenti scelgono di accettare le pubblicità, Brave li premia con dei “gettoni di attenzione base” che possono riscattare i contenuti dietro i paywall degli editori.
Pensate che Google sia indispensabile? Pensateci bene. Un motore di ricerca è indispensabile. Google detiene solo il monopolio, per ora. Un motore di ricerca chiamato DuckDuckGo non archivia le informazioni personali, non vi segue con le pubblicità e non traccia la vostra cronologia. Al contrario, mostra a tutti gli utenti gli stessi risultati invece di basarsi sulle vostre ricerche private.
A Londra, una società chiamata digi.me offre un’app scaricabile sul proprio smartphone che aiuta a importare e raccogliere i dati generati dal proprio Fitbit, Spotify, account sui social media… Si può scegliere dove archiviare i dati, e digi.me aiuterà a far lavorare per voi i vostri dati fornendo analisi che prima erano accessibili solo alle grandi società di dati.
A Washington, una nuova iniziativa chiamata UBDI, Reddito di Base Universale dai Dati (così come altre soluzioni in giro per il mondo) aiuta le persone a fare soldi condividendo idee anonime attraverso i propri dati per società che li utilizzano per ricerche di marketing. Ogni volta che una società acquista uno studio, gli utenti sono pagati in contanti e punti UBDI per tracciare il contributo, potenzialmente, fino a mille dollari all’anno secondo le loro stime. UBDI potrebbe essere un percorso fattibile per il Reddito di Base Universale nell’economia dell’Intelligenza Artificiale.
Nel corso della storia, c’è sempre stato uno scambio tra libertà e uguaglianza nella ricerca della prosperità. Il mondo è sempre rimasto nel circolo: accumulare ricchezza per ridistribuirla. Dato che le tensioni tra classi più e meno agiate stanno scoppiando in molti Paesi, è nell’interesse di tutti, comprese le grandi società di dati, prevenire questa nuova forma di disuguaglianza.
La proprietà privata di dati non è la soluzione perfetta o completa alla profonda e complessa domanda su cos’è che crea una buona società digitale. Ma secondo la McKinsey, l’Intelligenza Artificiale porterà 13 trilioni di dollari all’economia nei prossimi 10 anni. I dati generati dai singoli contribuiranno senza dubbio a questa enorme crescita. Non dovremmo considerare almeno un modello economico che dia dei poteri alle persone? E se la proprietà privata ha aiutato più di 850 milioni di persone a uscire dalla povertà, è nostro dovere, e lo dobbiamo alle future generazioni, creare un’economia di Intelligenza Artificiale più inclusiva che dia potere alle persone oltre che alle società.