di Francesco Carcano – La stagione delle piogge e dei monsoni è in ritardo ed è attesa con grande partecipazione in un anno di fiumi secchi e piogge scarse. Potrà forse ancora salvare le coltivazioni dei martoriati piccoli contadini indiani, da anni alle prese con difficoltà di sussistenza, aggravate dal costo delle sementi annuali vendute dalle multinazionali. Con la stagione delle piogge si riproporrà anche il problema di migliaia di tonnellate di rifiuti soprattutto plastici che verranno trasportati dalla furia dell’acqua e prelevati dai villaggi, dalle strade e dalle città e condotti nell’alveo di torrenti e fiumi. Simbolo dell’India e venerato come divinità, il Gange attende che dalle campagne e dalle città milioni di confezioni monouso di bottiglie di plastica, brandelli di confezioni di biscotti e piccole buste di digestivi venduti ad ogni bancarella si riversino nelle sue sacre acque insieme ai mai veramente gestiti scarichi fognari di molte città.
L’India dichiara da tempo di voler adottare politiche attente a questo tema. La plastica, e in particolare la confezione monouso di acqua, è un problema che aggredisce la qualità della vita, dei fiumi e dei mari e della flora e fauna e ricade poi in forma di microparticelle, nelle coltivazioni e nel pescato. Nel 2016 è stato siglato il Plastic Waste Management Rules (PWM), frutto del dibattito interno e internazionale sul tema dell’inquinamento da plastiche. Ne sono scaturite politiche locali di bando delle plastiche monouso, ridefinizione degli standard obbligatori per alcune produzioni di larghissima diffusione (come gli shopper) e l’adozione in crescenti realtà di politiche “Plastic Free”. Lo si nota negli aeroporti delle principali città indiane, in cui i cartelli di divieto si uniscono a inviti ad adottare piccoli gesti attenti all’ambiente, come una corretta separazione dei rifiuti. In molte realtà aeroportuali la plastica monouso è stata abolita. A Delhi il visitatore troverà cannucce di carta e posate ricavate dagli scarti del legno. Il tradizionale Thali, il piatto che contiene in diverse vaschette portate principali e contorni, è in bambù lavabile, in metallo o più raramente in plastica biodegradabile. Quest’anno una festività religiosa che attrae da tutto il nord dell’India oltre due milioni di persone, l’Ambubachi Mela a Guwahati, è stato fortemente caratterizzato da un approccio “plastic free”. Per i quattro giorni di durata del Mela centinaia e centinaia di volontari hanno distribuito biscotti e bottigliette di acqua alle migliaia di fedeli che affrontavano sotto il sole e a 40-45° i tre chilometri di salita verso il Tempio di Kamakhya. Punti di raccolta delle plastiche erano organizzati ogni 200-300 metri. Cartelli incitavano lungo il percorso alla limitazione di uso della plastica e al suo divieto di abbandono. L’informale collaborazione tra il pubblico, il privato e le fasce più povere della popolazione ha retto. Il giorno venivano distribuiti i generi di conforto da sponsor e organizzazioni religiose con raccolta di tonnellate di bottiglie Pet e bicchieri monouso mentre la sera l’azienda rifiuti entrava in azione per raccogliere e stipare il materiale da riciclare. A tarda serata e all’alba entravano in azione gli ultimi degli ultimi di questa società in cui le divisioni sociali sono parte della storia. A loro competeva raccogliere ciò che era sfuggito. Gli enormi sacchi di rifiuti plastici raccolti da uomini, donne e bambini sarebbero stati rivenduti l’indomani ai centri di raccolta per il riciclaggio.
Ma basta questo in un paese in piena esplosione commerciale e in cui si passa, nell’arco di pochi chilometri, dalla campagna di case in paglia e fango ai grattacieli e boutique scintillanti di Calcutta alle baraccopoli e slum e ancora alle periferie agricole con strade, campagne, risaie e torrenti spesso sommersi di rifiuti in cui bufale e vacche cercano qualche nutrimento?
Esempi sporadici e virtuosi sono partiti dall’inizio degli anni 2000. L’amministrazione della città di Vasco è stata tra i pionieri dello schema “Plastic Free” nel 2006 con l’adozione del “Zero Garbage Town Scheme”. Chi restituiva 100 pacchetti di latte vuoti riceveva 1 litro di latte fresco mentre iuta e sacchi di carta sono stati dati gratuitamente per disincentivare l’utilizzo di shopper monouso. Sono seguite altre città e il neo rieletto presidente Modi ne ha fatto un punto di propaganda durante la campagna elettorale. Ma i temi che stanno realmente a cuore alla classe dirigente sono ovviamente altri e riguardano l’economia, i dazi, le grandi infrastrutture, il rapporto con la Cina e gli Stati Uniti. In un’analisi pre-voto del sito di economia etica veniva segnalato come “dalla seconda metà del 2011 la moneta nazionale ha perso il 55% del suo valore nel cambio con la valuta Usa”.
Punto d’arrivo di rifiuti plastici dopo i Monsoni, le coste soffrono fenomeni di inquinamento che si aggiungono a quelli di spoliazione della fertilità del suolo a causa di coltivazioni intensive e abusive, come quella del gamberetto, la cui acqua di coltura salata viene artificiosamente condotto verso l’entroterra per favorire il commercio del gamberetto e provoca l’inaridimento dei terreni. Scrivono Carlo Petrini e Stefano Mancuso in “Biodiversi”: “duemila chilometri di coste indiane sono devastati da questo processo cui si aggiunge la distruzione sociale di interi villaggi agricoli (…) allagano con acqua marina dei terreni fertili per coltivare i crostacei, dopo pochi anni la depauperazione dei terreni è tale che neanche i gamberetti crescono più e questi terreni, ormai sterili e zeppi di sale, sono completamente persi all’agricoltura”.
“Il degrado ambientale fa più male ai poveri e ai più vulnerabili”, ha detto il confermato Primo Ministro Narendra Modi. “È dovere di ognuno di noi assicurare che la prosperità materiale non comprometta il nostro ambiente”. Parole di un abile politico che ha goduto del rinnovo della fiducia da parte dell’elettorato e che ha saputo costruire il consenso su un mix di innovazione e spinta al progresso tecnologico, taglio ai servizi sociali, ridefinizione delle modalità di calcolo del Pil, nazionalismo e forte richiamo alla spiritualita intrinseca al Paese.
Secondo il sito INDIASPEnd tuttavia “l’India genera molti più rifiuti plastici di quanto dichiara” anche grazie alla carente rete di comunicazione dal territorio ai centri di analisi nazionale. Arrivano dati parziali o vengono comunicati dati approssimativi così la gravità del fenomeno è meno visibile. La Fondazione PlastIndia riporta che “l’India consuma circa 16,5 milioni di tonnellate di plastica ogni anno. Di questo, il 43% è imballaggio monouso destinato in gran parte a finire per strada o nei bidoni dell’immondizia”. Tra la cause di questa massiccia presenza di materiali plastici che vengono poi abbandonati vi sono un atavica inerzia delle autorità locali ad avviare una completa gestione del ciclo dei rifiuti e la la presenza di numerose aziende, piccole e grandi, che operano sul mercato dei prodotti plastici senza rispettare alcuna normativa. La corruzione aiuta entrambi questi processi.
Vi sono poi le sperimentazioni sul riutilizzo in chiave anche di autosviluppo e promozione sociale. Rajagopalan Vasudevan, professore al Thiagarajar College of Engineering di Madurai, dopo oltre 400 esperimenti è arrivato alla sua ricetta per utilizzare i rifiuti plastici e l’ha resa pubblica perché anche le piccole comunità potessero applicarla. Oggi la sua “jugaad”, (letteralmente traducibile in “innovazione poco complessa”) ha consentito di sostituire il 15% di materiale derivato da petrolio nell’asfaltatura di oltre 5.000 chilometri di India rurale e gli ha valso il soprannome di Plastic Man.
Il procedimento di macerazione e tritatura di rifiuti plastici non altrimenti riutilizzabili (come le confezioni monouso di piccoli prodotti alimentari) da inserire nel composto bituminoso di asfaltatura non affronta il tema della sostituzione dei materiali fossili ma si concentra su un aspetto pragmatico: l’India brulica di rifiuti plastici che devono trovare una collocazione con processi replicabili, economici e semplici.