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Terra Felix: una proposta di cittadini per superare O’Sistema

beppegrillo.it - Giugno 26, 2019

di Francesco Carcano – Si vedranno i frutti tra un anno ma intanto il cardo è stato piantato. Siamo in località Ferrandelle, in una terra sospesa tra Casal di Principe e Castel Volturno. Francesco e Federica della cooperativa sociale Terra Felix ci guidano tra cavalcavia assolati e cordoli autostradali coperti di rifiuti e terreni coltivati. Qui comandava Francesco Schiavone, detto Sandokan, il boss dei Casalesi ora in carcere. Sulle terre che lo stato ha confiscato al suo clan nasce il progetto che vede impegnata Legambiente, Coldiretti e Terra Felix. Sono circa 5 ettari e il raccolto verrà acquistato dall’azienda novarese Novamont come componente per la produzione di bioplastiche. Ne saranno ricavati shopper biodegradabili e compostabili, commercializzati dalla Cooperativa Sociale Ventuno.

La chiamano Economia Circolare o Rigenerazione dei territori e vuole unire innovazione, legalità e attenzione all’ecosistema. Qui ci sono storie dietro ogni pietra, sguardo che incroci o attività commerciale. In una intervista al quotidiano Repubblica, a margine del processo al clan dei Casalesi, lo scrittore Roberto Saviano affermava “molto è cambiato, società civile e giornalisti e associazioni abbiamo fatto tutti passi avanti. Ma il traguardo è ancora lontano”.

Attraversare in pochi istanti Casal di Principe per chi non ha vissuto la quotidianità e gli anni della guerra sanguinaria tra famiglie lascia un giudizio sospeso. Sono state confiscate ville dalle alte cancellate, terreni agricoli, capannoni. Anni di processi hanno segnato lo spartiacque tra una vecchia camorra sanguinaria e la generazione dei figli e dei nipoti, laureati in legge o economia al Nord o più facilmente in università straniere, frequentatori di nuove élite internazionali in cui si parla più facilmente russo, inglese, turco o spagnolo rispetto al dialetto locale delle origini. Qui restano molti misteri e un grande silenzio. Qui la “vite maritata” occupava oltre 27.000 ettari di terre poi il mondo è iniziato a cambiare e le tradizioni e antiche coltivazioni sono state superate dal cemento e poi dai nuovi, silenziosi e più redditizi business. Oggi alcune realtà ne tentano il recupero e ne traggono dopo la vendemmia un vino asprigno che si raccoglie a 12-13 metri di altezza dove la vita si sposa al pioppo e lo scala alla ricerca di luce e sole.

Recuperare la memoria significa per le cooperative e realtà sociali poter andare a testa alta al bar del paese, dove magari ancora oggi incontri i membri residui delle famiglie cui sono state confiscate le terre e poter dire con lo sguardo, là dove si usano poche parole e contano molto i gesti, che quella terra che ti hanno tolto dopo i processi di criminalità organizzata tu la stai restituendo a tutti, non te la sei rubata grazie ad uno Stato repressivo, con la tua famiglia camorrista che era un simbolo di depredazione e potere illegale. Le targhe delle associazioni sulle mura spesso riportano il simbolo della Comunità Europea. I fondi europei per ricreare economia e socialità qui sono arrivati negli anni ma sono ancora un rivolo per fronteggiare decenni di occupazione silente del “Sistema” della criminalità organizzata. E in fondo ancora oggi non sai quasi mai con chi parli, non sai quasi mai di chi ti puoi fidare davvero. Questo è un lascito pesante per chi poi sul territorio vuole coraggiosamente fare, riaprire luoghi chiusi spesso da anni e anni e che hanno a volte subito la furia devastatrice delle famiglie criminali a cui erano stati sottratti dallo Stato.

Pochi chilometri di strada da Casal di Principe e si arriva alla pineta “Riserva naturale statale Castelvolturno”. La linea di confine tra la Riserva naturale e il mare è una strada costellata da insegne di hotel con camere idromassaggio a basso costo e ragazze dell’Est e nigeriane affacciate sul marciapiede o in attesa dentro un’automobile. Qui il regista Eodardo De Angelis ha ambientato “Il vizio della speranza”: neorealismo e fiaba tra le case abbandonate che un tempo erano l’orgoglio della famiglia di costruttori Coppola.

Qui è stato ambientato Dogman, trionfatore a Cannes. Un villaggio immenso, affacciato sul mare, destinato come casa di vacanze alla media borghesia della vicina Napoli. Una sorta di Milano Due con scuole, farmacia, ospedale, supermercato, chiesa. Oggetto di contestazione successiva per le facili licenze edilizie concesse, di anni di contenziosi in Tribunale e infine di un provvedimento di sequestro per il principio dello “sversatoio umano” che porterà qui a decine le famiglie di sfollati dei terremoti e poi ad occupazioni abusive e ad un progressivo radicarsi della gestione camorristica dell’immigrazione africana. Disperati arrivati in Italia per servire i caporali della raccolta pomodori, nessun diritto e pochissimi soldi per molte ore di sudore, baraccopoli e case occupate dalla criminalità e affittate ai migranti del nord Africa usati come manovalanza ora per i campi ora per la gestione dello spaccio e della prostituzione, come fossero carne da cannone.

Il viaggio prosegue, a Francesco e Federica si è unito Bernardo, presidente di Rain Arcigay Caserta. Anche loro, come Terra Felix, hanno vinto un bando per riutilizzare una delle decine di villette del Parco Faber di Castel Volturno, in gran parte confiscate e riassegnate tramite bando pubblico. Case di vacanza affacciate su un laghetto, affittate per anni ai familiari dei marines della vicina base militare Usa, prima che lo Stato le confiscasse come frutto di attività criminale. Il “Centro LGBT del Mediterraneo” ospiterà persone che hanno dichiarato la loro omosessualità e sono state per questo vittima di pregiudizio, emarginazione o repressione. Guardi il progetto, tra social Housing e coworking, e pensi a Berlino o New York.

A pochi passi da loro Terra Felix utilizzerà una villetta con giardino per il progetto “Cas@mare – centro di educazione permanente sui temi della sostenibilità del sistema marino del litorale Domizio-Flegreo”. Giardini curati al posto di erbe incolte, una scalinata al lago dove ora vi sono arrugginiti cartelli che indicano il pericolo di crollo della strada carrabile.

Si può fare, dicono, non è facile ma si può fare.

E parlano di altre attività e progetti, di ecoguide per i Musei, del locale ristorante a chilometri zero “Tipicheria” che gestiscono dentro un casale del 1700 attorniato da campi dove politica locale e imprenditori edili volevano costruire villette e il circolo Legambiente e Terra Felix e cittadini sono riusciti invece a far mettere un vincolo permanente alla Sovrintendenza. Lì ora sorgerà un “Rural Hub” con partner Slow Food e già oggi ci sono orti condivisi in cui persone giovani e anziane tornano a produrre i loro ortaggi. Lo chiamano “il primo giardino pubblico da Piazza del Plebiscito” e un po’ lo dicono scherzando, un po’ sono seri.

Sulla via del ritorno l’indomani il tragitto passa dalle Vele di Scampia. Ragazzini in scooter affiancano l’automobile, controllano chi sei con lo sguardo e poi passano veloci. Uno striscione del “Comitato Vele” ringrazia per il futuro abbattimento di una Vela ormai svuotata di persone e per la riqualificazione del quartiere sui cui verrà indetto un concorso internazionale di idee.

Per terra ancora rifiuti, per strada sguardi persi si affiancano a volti stanchi di ragazzi che tornano dal lavoro. Sono mondi diversi che si sfiorano, toccano, condividono spazi e lo stesso futuro. La strada per uscire da “O’ Sistema” è forse ancora lunga ma c’è chi la sta percorrendo senza risparmiarsi, ogni giorno.

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