di Valentina Petricciuolo – Siamo in un momento cruciale del nostro sviluppo. Un momento in cui la ricerca scientifica e tecnologica ci ha portato – nel bene, ma qualche volta anche nel male – a poter godere di uno stile di vita che solo 100 anni fa nemmeno i più ricchi e potenti potevano vantare.
Gli Stati Uniti, la Cina, ma anche Russia e India, investono da anni e sempre più massicciamente nella cosiddetta “blue sky research”, la ricerca dal “cielo blu”. Una bella espressione inglese che sta ad indicare la ricerca di base, quella che non ha uno scopo preciso, che non si sa a cosa potrà servire o dove ci porterà.
Una ricerca che non ha confini, proprio come il cielo. Ma è proprio da questa ricerca di base che nascono le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche: come è successo con Albert Einstein, Maria Curie o Niels Bohr, che hanno fatto scoperte da cui sono scaturite poi applicazioni pratiche prima inimmaginabili.
E il bello di questa ricerca “blue sky” è che è transnazionale, una rete fitta di collaborazioni e di sana competizione che travalica i confini dei singoli paesi. Un esempio eclatante è il CERN di Ginevra, un “paradiso” della scienza dove ingegneri e fisici di tutto il mondo collaborano a qualcosa che va al di là della comprensione di noi “comuni mortali”.
Ma c’è un altro fulgido esempio di organizzazione sovranazionale che non tutti conoscono e che è davvero un grande successo della Unione Europea. Si tratta del Consiglio Europeo della Ricerca (CER), l’agenzia che gestisce i fondi destinati a finanziare la ricerca di base in Europa (e non solo).
Nato nel 2007, il CER ha avuto sin dall’inizio l’obiettivo preciso di supportare e finanziare la ricerca di frontiera e fare in modo che le idee di grandi donne e uomini potessero essere realizzate: rigenerare parti del corpo come fanno le salamandre, creare il materiale più resistente al mondo nella propria cucina, costruire e addestrare il proprio robot in totale autonomia. Queste, come si vede nel video che descrive gli ambiti di cui si occupa il CER, sono solo alcune delle idee che gli scienziati possono sviluppare grazie ai fondi di questa agenzia.
E il bello è che, come si legge sul sito del CER:
“Essendo basato su iniziativa dei ricercatori” o “dal basso verso l’alto”, l’approccio del CER permette ai ricercatori di individuare nuove opportunità e direzioni in qualsiasi settore della ricerca e non è quindi orientato in base alle priorità stabilite dai politici. Questo approccio assicura che i finanziamenti vengano destinati ad aree di ricerca nuove e promettenti con un maggior livello di flessibilità.”
In altre parole, il concetto che differenzia il CER dalle altre agenzie o dagli altri finanziamenti pubblici è quello di assegnare i fondi direttamente ai ricercatori che ne fanno domanda presentando progetti in ambiti che vanno dalle nanotecnologie alla chimica, dalla fisica delle particelle alle biotecnologie.
I ricercatori sono quindi chiamati in prima persona a gestire questi fondi e a presentare i risultati, in una ottica del tutto meritocratica. E’ il singolo ricercatore, poi, che decide in quale struttura impiegare i fondi assegnatigli e quindi dare prestigio ad essa e al paese che lo ospita. Molti ricercatori e scienziati italiani che si sono visti assegnare i fondi operano non in Italia ma in Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Germania proprio perché in Italia non hanno trovato un “ambiente favorevole” a realizzare il loro progetto.
Eppure anche in Italia si possono trovare esempi fulgidi di persone che hanno saputo “approfittare” dei fondi messi a disposizione dal CER.
Sulla pagina del sito dedicata alle storie di successo ci sono ben 25 esempi di ricerca “made in Italy” finanziata dal CER tra cui ho “per caso” scelto tre donne:
La ricerca portata avanti da Giulia Lanzara, ricercatrice dell’Università Roma 3 che, grazie ad uno Starting Grant di oltre 1 milione e mezzo di euro, studia la morfologia e le dinamiche degli uccelli e dei delfini per creare nuovi materiali multifunzionali da poter utilizzare, ad esempio, per realizzare le ali degli aeroplani e renderli efficienti dal punto di vista energetico.
O la ricerca di Maria Rescigno, dell’IEO (Istituto Europeo di Oncologia), un’altra scienziata italiana che, grazie al suo progetto, finanziato con circa 1 milione e duecentomila euro – di soldi pubblici ben spesi! –, “ha notevolmente accresciuto la comprensione del ruolo cruciale che svolgono i microrganismi dell’intestino per la nostra salute. I risultati della ricerca della dottoressa Rescigno hanno portato a un brevetto e a un progetto successivo che potrebbe un giorno aprire la strada a nuovi trattamenti mirati per le malattie, compreso il cancro”.
Terzo e ultimo – ma non per importanza – progetto di ricerca finanziato grazie al CER è quello di Raffaella Schneider astrofisica de La Sapienza di Roma che, per l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), e insieme con un team di scienziate donne, ha scoperto come i buchi neri siano apparsi e si siano ingranditi nell’universo primordiale.
Secondo i dati dell’ultimo rapporto relativo all’anno 2017, il CER ha erogato, in tutto, 13 miliardi di Euro ai ricercatori europei. E ha finanziato 6.000 progetti.
I finanziamenti CER si articolano in varie tipologie: dagli Starting Grants che assegnano fino a 1 milione e mezzo di euro a scienziati più giovani e che sono all’inizio della loro carriera scientifica, ai Proof of Concept che invece finanziano con 150.000 euro la fattibilità del progetto in termini di valorizzazione di mercato e di applicazione in generale.
Il CER è una delle poche organizzazioni che erogano finanziamenti in Europa che può vantare un pedigree eccezionale. Ha certamente dimostrato, nei 10 anni di attività, di come responsabilizzare, o meglio dare autonomia ai singoli e non alle burocrazie anonime e opache che “gestiscono” milioni e milioni di fondi pubblici, sia la formula vincente.
L’augurio è che questa formula innovativa di supporto e stimolo pubblico alla ricerca di base possa essere replicata anche in Italia. I fondi ci sono: basta reindirizzarli da qualche “buco nero” (per riprendere il tema) in cui troppo spesso finiscono per darli invece direttamente alle persone meritevoli.
Infine, bisogna fare in modo che i ricercatori – italiani e non – vengano in Italia, nelle nostre strutture, e non scappino in giro per l’Europa a portare la loro conoscenza e il loro ingegno fuori dai nostri confini.
L’AUTORE
Valentina Petricciuolo – Laurea in Economia, specializzazione in commercio internazionale e promozione delle imprese italiane all’estero. Responsabile dello sviluppo e supporto delle aziende australiane in Italia presso il Consolato Generale di Milano. Trade Relations Officer per UK Trade and Investment presso l’Ambasciata Britannica a Roma. Crowdfunder e micro Business Angel attiva sulle piattaforme europee e statunitensi. Attualmente funzionario dell’Istituto per il Commercio Estero (Agenzia ICE) di Roma e responsabile, dal 2005 al 2010, del Desk Attrazione Investimenti esteri della sede di New York. Master in trasferimento tecnologico e open innovation del Politecnico di Milano (2014) e membro dal 2014 al 2017 del panel europeo dei valutatori di progetti Proof of Concept per la valorizzazione della ricerca scientifica dello European Research Council. Autrice del blog La Curiosità è la Bussola su innovazione, imprenditorialità, valorizzazione della ricerca scientifica, crowdfunding, nuove dinamiche del lavoro, reddito di base universale, crescita personale e libertà finanziaria, blockchain e criptovalute. http://valentinapetricciuolo.it