di Michele Geraci – Cosa c‘entra la Cina con il reddito di cittadinanza? Molto e ci tocca direttamente. L’espansione senza pari dell’economia cinese e l’avanzare della globalizzazione lanciano delle sfide che ci devono far riflettere su come fronteggiare questo doppio tsunami. Il commercio internazionale da un lato tende ad aumentare il benessere collettivo medio, ma distrugge posti di lavoro, aumenta le disuguaglianze, penalizzando i più deboli, i meno flessibili, cioè noi e, all’interno dell’Italia, il meridione. I vincenti sono i paesi con grande scala produttiva e, quindi, l’Italia e l’Europa intera hanno ben poche speranze di competere con la Cina che produce il 50% di tutto ciò che si consuma al mondo. La nostra unica possibilità è legata alla valorizzazione delle nostre competenze sostenibili, quali arte, pensiero, cultura, storia che, così come è stato nel rinascimento, possono essere da supporto ad una nuova ripresa del nostro paese. Per far ciò, bisogna dare libertà a queste forze creative e liberare l’individuo dall’assillo dello stipendio come mezzo di sostentamento, perché un sistema produttivo che spinge tutti i giovani a studiare solo finanza, ingegneria ed altri mestieri utili ci porta in quell’imbuto competitivo dove la Cina ci schiaccerà. In questo contesto, la discussione sull’opportunità dell’introduzione o meno del reddito di cittadinanza in Italia richiede un’analisi approfondita, libera da pregiudizi. L’Italia potrebbe essere il paese che, più di altri in Europa, ne beneficerebbe, trasformando così queste sfide in opportunità. Da un punto di vista politico, il reddito di cittadinanza contiene vari elementi sovranisti e di giustizia sociale che lo rendono appetibile anche alla Lega.
L’avanzare della Cina lascia poche speranze all’Italia e all’Europa
Cominciamo dai fatti: la Cina ha lanciato da due anni un piano di upgrade produttivo manifatturiero (China Manufacturing 2025) che trasformerà la vecchia fabbrica del mondo di produzioni di basso valore aggiunto nella Nazione tecnologicamente più avanzata al mondo. In questa quarta Rivoluzione industriale, la Cina espanderà la propria capacità produttiva sia orizzontalmente – aggiungendo sempre nuovi prodotti -, sia verticalmente – aumentandone la scala produttiva. A quel punto, anzi già da oggi, il sistema del commercio globale basato sul WTO andrà in crisi perché non è stato pensato per gestire dinamiche in cui un solo paese (la Cina) produce la metà di tutto ciò che è consumato al mondo. Già oggi la Cina sforna 820 milioni di tonnellate di acciaio all’anno (contro i nostri 23 milioni ed i 160 della UE); Pechino produce 50 milioni di biciclette contro 1 dall’UE; il più grande super computer è in Cina; il più grande osservatorio astronomico del mondo è in Cina; la Cina è all’avanguardia nello studio delle particelle quantistiche, nell’esplorazione dello spazio, nella mappatura delle DNA, nella produzione dei veicoli elettrici (che raggiungeranno 35 milioni di auto nel 2025) e perfino nella produzione di energie rinnovabili, dove ormai investe più degli Stati Uniti. La Cina ha 25,000km di ferrovie ad alta velocità e ne ha in programma altri 15,000 Km nei prossimi anni, l’Italia ne sta programmano qualche centinaio di Km. La Cina ha 60 Unicorni, la EU 10, l’Italia zero. La lista delle eccellenze cinesi è senza fine: uno tsunami in arrivo.
Come competere, quindi? E chiaro che i dazi e le misure protezionistiche sono soltanto temporanee perché in nessun modo possono arginare questo tsunami che dall’oriente si abbatterà sui nostri mercati. Tutte le discussioni filosofiche su sé la Cina faccia o meno dumping, se ci siano o meno sussidi di Stato sono soltanto delle scuse tecniche per avere delle giustificazioni legali per imporre dazi, ben sapendo che comprare a prezzi minori è comunque un vantaggio per il consumatore, indipendentemente da quale sia la causa del differenziale di prezzo, anche se ciò fosse dovuto a concorrenza sleale dumping monetario, sociale, ambientale ed altri sussidi.
La Cina non solo produrrà prodotti di sempre maggiore qualità, ma raggiungerà economie di scala che abbasseranno ulteriormente i costi medi di produzione. Il paradosso è che la Cina materializza quasi verbatim i suggerimenti di Paul Krugman, uno dei più grandi sostenitori del libero mercato, nonché vincitore del Nobel per la Teoria del Commercio Internazionale (New Trade Theory) che postula che i paesi non commerciano perché sono più efficienti relativamente l’uno dell’altro nel produrre un certo prodotto, così come sosteneva Ricardo nel 1800, ma perché ottengono un vantaggio competitivo dovuto alle grandi economie di scala. In altre parole, mentre il modello di Ricardo lasciava qualche speranza all’Italia e all’Europa di poter esportare qualcosa in Cina – quello che riuscivamo a far relativamente meglio della Cina – l’approccio di Krugman, anche se non esplicitamente, porta ad un “No, l’Italia potrà esportare in Cina solo prodotti dove raggiungerà una scala produttiva superiore alla Cina, cioè quasi in nulla”. La conclusione estrema, mia non di Krugman, è, quindi, la Cina esporterà sempre più i propri prodotti in Europa senza un proporzionale aumento parallelo delle importazioni, con un conseguente surplus commerciale crescente, specialmente sui prodotti al consumo. Chi sostiene una maggiore integrazione europea per meglio far fronte comune alla Cina, non tiene ben conto che anche mettendo insieme i 28 paesi, la scala produttiva europea farebbe solo il solletico alla Cina (ricordiamo 820 milioni di tonnellate di acciaio contro le 160 della EU) e manca, in ogni caso, la solidarietà reciproca tra i vari paesi che ancora si ritengono concorrenti l’uno dell’altro, come il recente caso Embraco dimostra. Purtroppo c’è dell’altro, perché la Cina, non contenta delle sue già enormi e crescenti economie di scala, sta continuando a espandere ulteriormente la propria scala in Asia attraverso la Nuova Via della Seta, e soprattutto, in Africa, dove ha investito, nell’ultimo decennio, più di 300 miliardi di dollari e non i 70 miliardi spesso riportati da altri analisti. Il colpo di grazia per noi arriva da un’analisi comparata effettuata dal FMI sulle tipologie di merci esportate che rivela un alto gradi di similarità’, pari al 46%, tra ciò che la Cina e Italia esportano. È un indice che quantifica il grado di concorrenza esistente tra i due paesi e che, per l’Italia oltre ad essere tra i più alti tra i paesi EU, va addirittura aumentando nel tempo. In altre parole, l’Italia è il maggior concorrente della Cina tra i paesi EU, senza però avere le economie di scala per poter competere alla pari. È come se lo tsunami del China Manufacturing fosse proprio indirizzato a noi, più di altri. Per non infierire troppo, evito di toccare il problema demografico che più volte Boeri ha evidenziato. In sintesi, il motivo principale per cui la Cina ha successo è perché è un’economia pianificata, dove esiste, per esempio, un piano di sviluppo urbano ben preciso basato su prima sviluppo infrastrutture, poi accoglienza di migranti dalle zone rurali, il cui numero è stabilito a tavolino di anno in anno, secondo le esigenze del paese; una pianificazione che non crea quegli squilibri con cui, invece, si dibatte la UE, completamente impreparata a gestire il flusso migratorio dall’Africa. Un’economia di mercato piccola come la nostra non può competere con un’economia pianificata che ha scala 20 volte maggiore. D’altra parte, capisco anche che non siamo pronti a rinnegare interamente il nostro modello basato sulle forze di mercato e passare ad un’economia statalista anche noi, ma forse possiamo cercare di regolare un po’ il sistema. Vediamo come.
Come può l’Italia reagire? Investire in beni immateriali.
Quali possibilità per l’Italia? Quali sono le aree dove l’Italia può competere e raggiungere scala? L’Italia ha una grande risorsa, una competenza sostenibile: l’arte, la storia, il libero pensiero, la cultura. Come ci ha ricordato Alberto Angela, l’Italia è l’unico paese al mondo che possiede meraviglie distribuite nel territorio, dalle Alpi al Lampedusa, e nel tempo, da 2000 anni fa a oggi. Una rarità spazio-temporale che tutto il mondo ci invidia. Dallo spartitraffico di piazza Venezia, basta fare un giro completo di 360’ per passare dalle rovine romane dei mercati traiani, alle basiliche medioevali, alle cupole del 600, fino all’architettura umbertina. Anche qua, la lista è infinita. Queste risorse, su così vasta scala sono per noi quel vantaggio di cui parla Krugman che nessun paese al mondo può replicare, sono quindi sostenibili nel lungo periodo e possono essere utilizzate in due modi: In primis, aiutano a proiettare all’estero l’immagine dell’Italia che ci differenzia dagli altri paesi. Questa percezione, agli occhi degli stranieri, ha un effetto positivo ed immediato anche durante le trattative di business, come ho visto nei miei trent’anni trascorsi all’estero. Anche durante una riunione di lavoro dove si trattano apparecchi della meccanica, non appena si mostra un video della Cappella Sistina, del gol di Baggio con la Cecoslovacchia, Pavarotti a Verona e vista aerea di Matera, la controparte barcolla e firma contratti col sorriso in bocca. In secondo luogo, in modo indiretto e caotico, la varietà culturale fa da humus intellettuale-culturale per creare quelle italianità che ispira, motiva e da supporto al resto della società. È come se anche chi facesse affari, finanza o economia, venisse in modo inconscio ispirato dalla bellezza che lo circonda, da un violinista di strada o da un poeta di Trastevere. L’Italia, per avere una chance nel futuro deve cercare di riprodurre quell’atmosfera che regnava durante il rinascimento, dove papi e magnati si circondavano di artisti e tutta la società ne beneficiava. Tra gli artisti uno su mille ce la fa, ma la società intera ne beneficia. Come si fa per creare questo humus?
Reddito di Cittadinanza come investimento nelle nostre competenze
Il reddito di cittadinanza va inquadrato in questa ottica. Il reddito di cittadinanza deve essere concepito come un investimento che lo stato fa per sprigionare quel potenziale innato in ognuno di noi e liberare i giovani dall’assillo dello stipendio, assillo che porta a fare scelte di studio e di lavoro non consone alla propria indole e toglie risorse alle arti liberali che invece sono il supporto del nostro paese. È un intervento dello stato, una specie di finanziaria, che assicuri che in Italia ci siano ancora tanti giovani che si dedichino a questi mestieri che, in media, non portano alcun vantaggio economico ed evitare che tutti vadano a studiare ingegneria e finanza e che il liceo classico diventi un luogo solo per l’élite. Non deve essere visto come un bonus per i fannulloni, ma un metodo per continuare lungo la tradizione delle arti liberali, un investimento che lo stato può fare per cercare di far emergere cento mille nuovi Michelangelo dalla Cappella Sistina commissionata da Giulio II. È un investimento che lo Stato fa in risorse di cui gode di scala rispetto ad altre nazioni, così come la Cina investe in trasporto ad alta velocità. Loro investono in immobilizzazioni materiali, noi in immobilizzazioni immateriali (se lo spieghi sul tuo piano diventa una disciplina economica) e cercare di trasformare un fannullone di oggi in un potenziale talento. Talento che è imprigionato nei fannulloni, costretti al bighellonaggio per la mancanza di speranza. Naturalmente non si può sapere a priori chi, tra i giovani di oggi, sarà quell’uno su mille che avrà successo e chi cadrà nel dimenticatoio. È quindi, per questo che il reddito di cittadinanza va visto come una ricompensa ex-ante per quei 999 che non avranno mai un successo economico ma che il loro input, anche indiretto, servirà a quell’uno su mille che poi ce l’ha fatta. Senza i 999, nemmeno quell’uno ci sarebbe, ed allora bisogna forzare il sistema affinché questi 999 non scompaiano dietro formule di economia. In Cina, dove insegno finanza, stimo che il 70% dei miei studenti farebbe meglio a far altro, ma la pressione sociale e la necessità di dover poi trovare un lavoro, li porta a scegliere materie utili, il che crea una forte distorsione nell’allocazione del capitale umano ed intellettuale di un paese.
Con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, molti lavori scompariranno. Jack Ma, fondatore di Alibaba, dice che bisogna insegnare ai nostri figli le cose che la IA non può replicare. Quindi, investimenti statali in discipline liberali non va visto come un quid di cui beneficiano solo gli individui che lo incassano, ma come un beneficio condiviso da tutta la società. L’ABC della sharing economy. Senza il reddito di cittadinanza, molti giovani sarebbero costretti ad abbandonare le loro vocazioni per diventare tutti ingegneri ed economisti. C’è chi parla di incoraggiare i nostri giovani a studiare materie pratiche, di accorciare la durata dei licei, o disincentivare chi vuol intraprendere studi classici o fare il menestrello. Nulla di più sbagliato. Questi mestieri sono il vero sostegno dell’Italia che è molto brava a valorizzare perché diciamocelo pure, la verità è che viviamo di rendita da più di 500 anni grazie a quadri e statue. Basta rendersene pienamente conto. Benedetto Croce diceva che le nazioni che perdono il proprio patrimonio culturale perdono automaticamente il loro senso di essere nazione. Vivere all’interno di questo patrimonio immenso fin dalla nascita, non osservarla da lontano o su Internet, costruisce una caratterizzazione e creatività intrinseca al popolo italiano che nessun altro al mondo ha. Max Scheler nella Filosofia dei Valori aggiunge che l’individuo è portatore, non creatore, del valore cultura e più forte e ampio è questo substrato a cui esposto, più ampio sarà la gamma di pensieri e di valutazioni che l’individuo stesso riesce a produrre e, quindi, maggiore creatività.
Speranza per il Sud, non assistenzialismo
Concludo con due osservazioni. Ho letto che il 5S ha avuto successo al sud perchè il reddito di cittadinanza è una misura assistenzialista. Non credo; credo invece che i giovani del sud abbiano da tempo perso speranza ed i 780 Euro forse ridanno questa speranza. Proprio in questi giorni è uscito un libro scritto da Riccardo Monti, ex-direttore generale dell’ICE, in cui si sostiene che il prossimo decennio sarà un’ultima spiaggia per il sud e forse dal Sud, dalla parte più debole che può ripartire l’Italia. Se il reddito di cittadinanza è utile all’Italia, lo è ancora di più al mezzogiorno. Esiste un rischio reale che qualcuno se ne approfitti? Certo, ma ci può stare, nessun investimento da rendimenti certi, tanto meno tra quelli immateriali ed anche tra noi ci sarà qualche Caravaggio che si diletta a delinquere, ma lo sforzo che il governo deve fare è creare quel humus che dà fiducia. In Cina, per esempio, per minimizzare le frodi, ogni edificio residenziale espone pubblicamente la lista di chi riceve varie forme di sussidio, un piccolo deterrente per i furbi.
Può la Lega di Salvini accettare il reddito di cittadinanza?
Da un punto di vista politico ed economico, il reddito di cittadinanza potrebbe venir ben accettato anche da Salvini perché 1) ha una valenza nazionalistica e sovranista in quanto solo i cittadini italiani possono avvantaggiarsene con divieto assoluto di rimesse all’estero da parte di chiunque; 2) rivaluta il nostro patrimonio nazionale; 3) serve ad alzare i redditi minimi in modo che la concorrenza al ribasso dei migranti trovi meno spazi; 4) rende flat tax ancora di più progressiva nella pratica, 5) migliora la sicurezza per le strade e la criminalità’ spicciola e 6) può essere usato come pretesto per migliorare i sistemi di controllo dei redditi dei cittadini, dell’evasione, e della certezza delle pene che sono i pilastri della proposta della Lega.
Come finanziarlo? Non importa.
Infine, torniamo ai numeri, da dove abbiamo cominciato: qualcuno mi chiederà dove sono i 30 miliardi di coperture; ma non importa, è un debito che lo stato contrae con i propri cittadini, una semplice riallocazione contabile, come il gioco delle tre carte, se servisse del bridge-financing, basterebbero i mini-bot di Borghi.
L’AUTORE
Michele Geraci, economista, vive in Cina da 10 anni ed è a capo del China Economic Research Program presso il Global Policy Institute e alla Nottingham University Business School, nonché Adjunct Professor of Finance presso la New York University Shanghai e l’Università di Zhejiang. Prima di trasferirsi in Cina, Michele è stato banchiere d’affari. Durante più di un decennio trascorso ai massimi livelli della finanza internazionale tra Londra e Wall Street, Michele ha lavorato in Europa, America Latina, Europa dell’Est e Asia ricoprendo vari ruoli presso le più importanti banche d’affari mondiali, tra cui Merrill Lynch, Bank of America, DLJ e Schroders. Michele possiede un Master in Business Administration (MBA) ottenuto presso il M.I.T, una laurea in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Palermo e parla 5 lingue, tra cui il Cinese Mandarino. È Cavaliere della Repubblica Italiana, onorificenza ricevuta dal Presidente Mattarella. Blog: http://michelegeraci.com