di Gunter Pauli – Esiste un mercato stimato in 10 miliardi di dollari l’anno che si basa sui polimeri. Esempi di polimeri sono la cellulosa, il cotone, ma anche gomme e materie plastiche, la lana, l’amido o la più pregiata seta.
Nel tempo i polimeri derivati dal petrolio hanno sostituito le alternative più naturali e i metalli. Poi l’introduzione della plastica nel design e nell’elettronica di consumo ha ridotto enormemente i costi e acceso l’interesse mondiale verso questo tipo di prodotto.
Si potrebbero ricavare plastiche anche da amido di mais, ma andrebbe a occupare terreni e risorse, oggi usate per la produzione di cibo. Pensate che il cotone consuma enormi quantità di acqua e pesticidi. Quindi i polimeri provenienti da risorse rinnovabili non sono necessariamente sostenibili.
La seta è storicamente il primo polimero diventato uno standard sul mercato. La produzione mondiale di seta intorno al 1900 superava un milione di tonnellate all’anno, ma è scesa a 90.000 tonnellate un secolo dopo, facendo perdere circa 25 milioni di posti di lavoro.
Quando i cinesi hanno optato per la piantagione di gelsi circa 5.000 anni fa, lo hanno fatto per la crescente domanda di cibo.
La leggenda narra che Lei-Tsu, la giovanissima moglie dell’imperatore cinese, stava prendendo il tè in giardino, quando il bozzolo di un baco cadde nella sua tazza. Lei-Tzu si sbrigò subito a toglierlo, ma complice anche il calore della bevanda, il bozzolo cominciò a sfilarsi. E, metro dopo metro, coprì l’intero giardino. Potè cosi vedere la lucentezza e la resistenza del tessuto, inoltre notò all’interno del bozzolo un baco. Il baco si nutriva del gelso che cresceva nel suo giardino. Cosi chiese al marito il permesso di piantare gelsi e coltivare bachi.
Questa scoperta ha dato origine ad un’ industria mondiale anche se la seta non ha mai potuto competere contro le fibre sintetiche.
La seta era la materia prima per l’ abbigliamento di qualità, ma questo mercato è evaporato nel corso degli anni, causa anche del nylon che ha sostituito i polimeri naturali.
Il primo portafoglio di applicazioni riguarda i dispositivi medici. Le quattro applicazioni sono: suture, riparazione nervosa, innesto osseo e dispositivi ortopedici.
Il prodotto commerciale più semplice da produrre sono le suture. Questi filamenti utilizzati dai chirurghi per cucirci insieme dopo l’intervento chirurgico. Ma il campo di potenziali applicazioni della seta va oltre i dispositivi medici.
Ci sono alcuni prodotti di consumo che offrono anche un’ opportunità straordinaria. Il rasoio è uno di questi. Un rasoio è realizzato in titanio e acciaio inox.
Si stima che 100.000 tonnellate di metalli di alta qualità provenienti dai rasoi finiscano nelle discariche.
Ultimamente la quantità di metalli altamente lavorati tra cui titanio è di nuovo in aumento, dal momento che la lama singola è diventata prima doppia, tripla e ora anche versioni con cinque lame, ogni volta promettendo una rasatura migliore.
Competere con i colossi del mercato può sembrare folle ma invece di tagliare la cheratina (pelo) con una lama, i fili di seta rotolerebbero sopra la pelle tagliando i peli proprio come fanno le vecchie falciatrici a mano. Un vantaggio importante è che la seta può solo tagliare i capelli, e mai la pelle.
Se le 100.000 tonnellate di metalli inviate alla discarica venissero sostituite dalla seta, allora ciò richiederebbe altri alberi di gelso. La piantagione avrebbe bisogno di circa 1.250.000 ettari di gelsi su terreno asciutto, disponibili in abbondanza in tutto il mondo. La messa in opera, l’allevamento dei bruchi e la lavorazione generano circa 1.500.000 posti di lavoro.
La possibilità di sostituire il titanio con qualcosa come la seta ha un chiaro vantaggio di marketing.
L’AUTORE
Gunter Pauli – Laureato in economia all’Università Sant’Ignazio di Loyola in Belgio, è imprenditore in diversi settori come la cultura, la scienza, la politica e l’ambiente. Costruì la prima fabbrica, Ecover, di detersivi biodegradabili che utilizzavano gli acidi grassi dell’olio di palma al posto dei tensioattivi petrolchimici. Ha fondato la “Zero Emissions Research Initiative”, rete internazionale di scienziati, studiosi, ed economisti che si occupano di trovare soluzioni innovative, progettando nuovi modi di produzione e di consumo a minor impatto ambientale.