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Neppure Pinochet o Franco avrebbero ignorato in modo così plateale una proposta di legge popolare firmata da 350.000 persone. In quattro anni almeno una risposta l’avrebbero data. La crisi viene da lontano, dall’avvento della partitocrazia, dalla fine degli anni ’70, con la pietra tombale della morte di Aldo Moro e l’epitaffio del famoso discorso di Berlinguer sull’ingerenza dei partiti in ogni aspetto della vita pubblica. I partiti sono la crisi, una lenta metastasi che ha portato il Paese al collasso. Si sentono padroni del Paese, quando dovrebbero esserne i servitori. La loro spudoratezza non ha più limiti e questo li perderà.
I banchieri e gli economisti stanno scaldando i muscoli per entrare in campo. Da Profumo, l’affezionato pdimenoellino dei 400 miliardi di patrimoniale sull’unghia, a Passera che ha appoggiato l’operazione sciagurata dell’Alitalia. I professori dell’economia come Mario Monti, ma anche Gianni Draghi, sono in tribuna a pontificare sulle disgrazie economiche del Paese. Ma questi signori che hanno goduto di tutti i benefici possibili, partecipato a ogni convegno e avuto la possibilità di denunciare con voce alta e grave i guasti del Paese, in tutti questi anni dove sono stati? Su qualche anello di Saturno. O forse mettersi in modo aperto contro il Sistema aveva un prezzo che non volevano pagare? I riservisti rimangano dove sono, dove sono sempre stati, al coperto.
Il rischio è quello, antico, di cambiare tutto perché nulla cambi. Di ritrovarci Luca Cordero di Montezemolo a capo del governo con la Marcegaglia ministro dello sviluppo e Fini ministro degli Interni. E la gente a ballare in piazza per il cambiamento, la democrazia e la libertà.
Il Sistema va riformato dalla testa, dal Parlamento con una nuova legge elettorale, nuova linfa, con cittadini che rappresentino il volto reale e pulito del Paese. Oggi a Palazzo Madama e a Montecitorio ci sono solo vassalli nominati che rispondono al partito e non ai cittadini, trattati alla stregua di servi della gleba.
I giovani sono stati fottuti. Pagheranno loro nei prossimi vent’anni l’enorme debito pubblico. Non vedranno mai la pensione. Le università che frequentano sono state declassate a livello mondiale a BB–. Non avranno un lavoro a tempo indeterminato e la possibilità di pianificare il loro futuro, un mutuo per la casa, un matrimonio, come è avvenuto per le generazioni precedenti. Non potranno ambire a un impiego in aziende di eccellenza, perché non ci sono più. Dovranno emigrare come i loro trisnonni o incazzarsi. I giovani sono la chiave per capire cosa succederà nel prossimo decennio. Se l’Italia ripartirà o sprofonderà nella palude.
Non è più il tempo di resistere, ma quello di riprendersi il Paese.