In Islanda, terra che da anni guida le classifiche mondiali sulla parità di genere, l’educazione ha avuto un ruolo decisivo. Tra le esperienze più originali c’è il modello Hjalli, ideato dalla pedagogista Margrét Pála Ólafsdóttir alla fine degli anni Ottanta. Un approccio che rompe gli schemi tradizionali e mira a liberare i bambini e le bambine dagli stereotipi fin dalla scuola materna. Aule minimaliste, attività calibrate e gruppi separati per genere sono gli strumenti con cui il metodo prova a compensare le differenze, incoraggiando ogni alunno a sviluppare qualità considerate sia “maschili” sia “femminili”. Un esperimento educativo che negli anni si è diffuso in più scuole islandesi, diventando un modello di riferimento internazionale.
Il modello Hjalli nasce nel 1989 a Hafnarfjörður con l’apertura del primo asilo sperimentale. L’idea di fondo è quella della pedagogia compensatoria, ovvero quella di offrire a ogni bambino la possibilità di sviluppare capacità che gli stereotipi di genere tendono a inibire. Le bambine vengono incoraggiate a coltivare sicurezza, autonomia e leadership, mentre i bambini imparano a prendersi cura degli altri, a esprimere le emozioni e a valorizzare la cooperazione.
Per facilitare questo percorso, nelle scuole Hjalli parte della giornata si svolge in classi separate per genere, così che ciascun gruppo possa lavorare senza pressioni sociali o ruoli prestabiliti. Gli ambienti sono volutamente essenziali: niente giocattoli tradizionalmente “da maschio” o “da femmina” ma materiali neutri come blocchi di legno, carta, corde, strumenti musicali, scacchi, (macchine da cucire anche per i maschi) e colori. L’obiettivo è spostare l’attenzione dai modelli di consumo agli aspetti relazionali, creativi e cognitivi.
Il curriculum è strutturato intorno allo sviluppo delle soft skills. Si lavora su qualità come rispetto, amicizia, coraggio, positività, responsabilità e indipendenza. In questo modo, i bambini non crescono con un’identità limitata agli stereotipi di genere, e sviluppano una gamma più ampia di competenze sociali ed emotive.
A oggi il modello è adottato in 14 asili e 3 scuole primarie islandesi, per un totale di circa 2.000 bambini e 450 insegnanti. Esiste anche un progetto sperimentale in Scozia, segno dell’interesse crescente verso questo approccio. Le ricerche indicano che i bambini che frequentano le scuole Hjalli mostrano livelli più alti di autostima, maggiore apertura verso l’altro e risultati accademici sopra la media.
Il metodo Hjalli dimostra come la scuola possa diventare un laboratorio sociale capace di incidere sulle disuguaglianze fin dall’infanzia. Separando temporaneamente i generi, eliminando i simboli stereotipati e costruendo percorsi educativi equilibrati, si creano le condizioni per una società più equa e consapevole. L’esperimento islandese continua a suscitare dibattito e curiosità a livello internazionale, offrendo spunti preziosi per ripensare l’educazione in chiave inclusiva e paritaria.









