Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha riportato turbolenza sul settore dell’eolico offshore. La prima a farne le spese è Ørsted, gigante danese delle rinnovabili, che si è vista bloccare uno dei suoi progetti di punta negli Stati Uniti. Una mossa che riaccende le tensioni tra Washington e l’industria verde proprio mentre la transizione energetica globale entra in una fase decisiva.
Il 22 agosto l’amministrazione Trump ha ordinato la sospensione di Revolution Wind, parco eolico da 4 miliardi di dollari al largo del New England. Il progetto, partecipato anche da BlackRock, era ormai completato per l’80%, con tutte le autorizzazioni in regola. Lo stop è arrivato pochi giorni dopo che la società aveva annunciato un aumento di capitale da 9 miliardi di dollari per rafforzare i conti, messi alla prova dal calo delle valutazioni negli Stati Uniti. L’ostilità di Trump verso l’eolico è di lunga data, in passato aveva tentato di bloccare un progetto in Scozia vicino a un suo campo da golf e quest’anno ha firmato la legge “One Big Beautiful Bill”, che ha ridotto gli incentivi federali al settore.
Per Ørsted il contesto è già complicato. Il titolo ha perso l’85% dal picco del 2021 e il valore di mercato si aggira oggi attorno agli 80 miliardi di corone danesi (12,5 miliardi di dollari). S&P Global ha declassato il rating del debito a BBB-, un passo sopra lo “junk”. Nonostante il quadro, la società non appare in bilico. Nella prima metà del 2025 il ritorno sul capitale investito è stato del 7,5% (12,3% al netto delle svalutazioni) e l’utile operativo atteso per l’anno è di 28 miliardi di corone danesi, sufficiente a gestire il debito netto di 66 miliardi. L’azienda conta sul sostegno del governo danese, azionista di maggioranza, e di grandi banche come JPMorgan per l’aumento di capitale, che sarà presentato ufficialmente dopo l’assemblea straordinaria del 5 settembre.
Sul fronte industriale, il gruppo mantiene una pipeline robusta: nuovi impianti in Gran Bretagna, Germania, Polonia e Taiwan entreranno in funzione entro il decennio. A luglio è stato siglato un contratto ventennale con TSMC, che acquisterà tutta l’energia prodotta da un parco da 920 megawatt al largo di Taiwan. Ørsted prosegue inoltre la strategia di “farming down”, cedendo quote di impianti già operativi: lo scorso anno ha venduto una partecipazione in quattro parchi britannici a Brookfield e punta a incassare 5,5 miliardi di dollari da ulteriori dismissioni tra il 2025 e il 2026.
L’eolico offshore resta più costoso rispetto al solare e all’onshore, ma il calo dei costi nell’ultimo decennio lo rende ormai competitivo. Per Ørsted, i venti contrari negli Stati Uniti rischiano di rallentare i piani, per questo forse il futuro dell’azienda si giocherà soprattutto in Europa e Asia, dove la transizione energetica non sembra avere intenzione di fermarsi.





