“Loro parlano della dignità del lavoro. Balle. La dignità è nel tempo libero.” (Herman Melville)
di Beppe Grillo – Dall’aprile 2021 negli Stati Uniti, oltre 19 milioni di lavoratori hanno lasciato il proprio lavoro.
Anthony Klotz, professore di management presso la A&M University in Texas, l’ha chiamata la Great Resignation, una tendenza in aumento che sta sconvolgendo le aziende di tutto il mondo.
Klotz ha attribuito queste dimissioni volontarie a quattro cause principali: un arretrato di lavoratori che volevano dimettersi prima della pandemia; burnout (esaurimento), in particolare tra i lavoratori in prima linea nell’assistenza sanitaria, nella ristorazione e nella vendita al dettaglio; “epifanie pandemiche” in cui le persone hanno sperimentato importanti cambiamenti di identità e finalità che le hanno portate a intraprendere nuove carriere e ad avviare un’attività in proprio; e un’avversione a tornare negli uffici dopo un anno o più in smart working.
Un vero e proprio crollo della società che ha portato molti colossi americani come Target, Walmart, Amazon etc… ad arginare il problema, senza risolverlo, offrendo lezioni gratuite per i propri dipendenti, donando benefit copiosi, pagando le rette universitarie o semplicemente aumentando i salari. Ma non basta. Secondo uno studio McKinsey i dipendenti bramano un investimento negli aspetti umani del lavoro, sono stanchi, vogliono un senso di scopo rinnovato. Vogliono connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. Vogliono provare un senso di identità condivisa. Sì, vogliono retribuzione, benefici e vantaggi, ma più di questi vogliono sentirsi apprezzati dalle loro aziende e i loro capi. Vogliono interazioni significative.
Un altro studio IBM dice lo stesso, 1 dipendente su 5 ha cambiato volontariamente lavoro nel 2020, e Generazione Z (33%) e Millennial (25%) rappresentano le fasce di età che più si sono messe in gioco. 1 persona su 4, a livello globale, intende cambiare posto di lavoro, nonostante la crisi economica abbia determinato la perdita di 255 milioni di impieghi nel 2020. Le ragioni principali di questa scelta sono la necessità di un programma o di un luogo di lavoro più flessibili, di maggiori benefit e di supporto per il proprio benessere.
E il nostro paese? Non ne è esente: tra aprile e giugno 2021, secondo le rilevazioni del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, si sono registrate 485.000 dimissioni su un totale di 2,6 milioni circa di contratti cessati. La quota di abbandono volontario sul totale degli occupati ha superato il 2% per la prima volta da anni, a livelli non lontani da quelli degli Stati Uniti.
A fronte di questa tendenza, e guardando ai dati Istat che ci dicono che abbiamo più di 300mila disoccupati rispetto al pre-pandemia, è ora che la settimana lavorativa di 4 giorni sia al centro del nostro dibattito politico.
Nel 1930 Keynes scriveva che nel 2030 la più grande sfida che avrebbe avuto l’umanità sarebbe stata quella di occupare il proprio tempo libero, lavorando 3 ore al giorno e favorendo così il progresso verso una società migliore e libera dal lavoro.
Oggi, grazie alla tecnologia possiamo farlo, con una soluzione concreta: ridurre la settimana lavorativa e liberare il tempo per altre attività più adatte a quella che potremmo finalmente chiamare vita.