Sorridere anche solo per una frazione di secondo rende le persone più propense a vedere la felicità nei volti inespressivi. E’ questo il risultato di una nuova ed importante ricerca dell’Università dell’Essex.
Lo studio, condotto dal dottor Sebastian Korb, del Dipartimento di Psicologia, mostra che anche un breve sorriso debole fa apparire i volti più gioiosi. E’ la prima volta che è stato dimostrato che la stimolazione elettrica facciale influenza la percezione emotiva. “La scoperta che un’attivazione controllata, breve e debole dei muscoli facciali può letteralmente creare l’illusione di felicità in un viso altrimenti neutro o anche leggermente triste, è rivoluzionaria”, ha affermato il dottor Korb.
L’esperimento pionieristico ha utilizzato la stimolazione elettrica ed è stato ispirato dalle fotografie rese famose da Charles Darwin, che spesso mostrava ai suoi ospiti fotografie di persone i cui volti venivano stimolati elettricamente e chiedeva loro di descrivere l’emozione mostrata. Quelle fotografie furono scattate dal medico francese Duchenne de Boulogne che applicò una corrente elettrica a vari muscoli dei volti dei soggetti, facendoli contorcere in diverse espressioni e fotografò i risultati.
Darwin credeva che esistessero emozioni universali che potevano essere trasmesse attraverso le espressioni facciali e pubblicò i disegni del lavoro di Duchenne in L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, il suo terzo lavoro importante sull’evoluzione.
Per lo studio, a 47 persone sono stati applicati sul viso degli elettrodi che hanno stimolato i muscoli fino a farli sorridere. Sono stati mostrati avatar digitali ed è stato chiesto loro di valutare se sembravano felici o tristi. Nella metà degli studi, i muscoli del sorriso venivano attivati all’inizio del viso. I ricercatori hanno scoperto che produrre un debole sorriso per 500 millisecondi era sufficiente per indurre la percezione della felicità.
La ricerca potrebbe puntare a futuri trattamenti per la depressione o altri disturbi che influiscono sull’espressione, come il morbo di Parkinson e l’autismo. “In futuro, speriamo di applicare questa tecnica per esplorare il riconoscimento delle emozioni facciali, per le persone con condizioni come il Parkinson, che sono note per avere una ridotta mimica facciale spontanea e un alterato riconoscimento delle emozioni facciali”, ha affermato il dottor Korb.