Si chiama drug repurposing, ed è la nuova frontiera della farmacologia nella ricerca di soluzioni alle malattie, con l’uso di molecole già note e usate con efficacia per altre malattie. Nuovi farmaci da vecchie molecole, per preservare risorse e investimenti, e per ridurre drasticamente costi e tempi del processo di drug discovery.
Ne è un esempio il farmaco per l’eradicazione della malaria, malattia che costituisce un enorme problema sanitario mondiale e principale causa di morbilità e mortalità in numerose nazioni. Ogni anno ne sono colpite 8,5 milioni di persone in tutto il mondo, specialmente in Asia, Corno d’Africa e America Latina.
L’unica terapia disponibile per la prevenzione delle recidive dal ‘46, è sempre stata il trattamento con l’8-aminochinolina primachina.
Nel 2018 però, la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha approvato il Krintafel (tafenochina) per la cura radicale di P. vivax, il parassita unicellulare responsabile della malaria, la tafenochina, un derivato dell’8-aminochinolina sintetizzato per la prima volta dagli scienziati del Walter Reed Army Institute of Research nel 1978 più potente della primachina, per sviluppare un farmaco per i soldati destinati nelle basi estere, in particolare in Vietman.
Il composto poi in realtà non venne mai sviluppato fino alla fine.
La nuova emergenza mondiale per malaria ha fatto si che si rivalutassero anche le “vecchie” molecole, e così solo nel 2008 l’organizzazione no-profit Medicines for Malaria Venture (MMV) insieme alla Glaxo Smith Klyne (GSK) è riuscita a dimostrare l’efficacia del farmaco nell’eradicazione della malattia, analizzando i risultati “in doppio cieco”, cioè senza che il paziente e medico sapessero se la sostanza somministrata fosse stata il farmaco o il placebo, come previsto in ogni studio clinico scientificamente rigoroso.