di Torquato Cardilli – La storia è piena di episodi di sacrilegi, di profanazioni dei luoghi di culto (puniti dal nostro codice penale) e di massacri, sia come crimini individuali che di massa, rimasti come una macchia nella coscienza umana.
L’elenco è lunghissimo, ma basta citarne qualcuno perché se ne risvegli il ricordo tramandato da generazioni.
Ad esempio nel 1170 l’assassinio dell’arcivescovo Becket nella cattedrale di Canterbury, o nel 1647 la fucilazione di Masaniello nella Basilica del Carmine a Napoli, oppure più indietro nella storia la distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dell’imperatore Tito (70 d.C.) o delle chiese e conventi profanati durante la rivoluzione francese (1790) o la lunga notte del leninismo nell’Urss e nei paesi satelliti contro cattedrali e monasteri (1917).
In tempi più recenti si assiste spesso in varie parti del mondo a profanazioni di luoghi di culto da parte di esaltati fanatici cristiani, ortodossi, musulmani, integralisti, induisti, ebrei, atei rientranti nella categoria più generale di terroristi.
Quando però l’atto sacrilego è attribuibile ad uno Stato ed alle sue forze dell’ordine le cose cambiano radicalmente perché si tratta di una palese violazione, con valenza politica, di ogni diritto, delle regole internazionali, della Carta delle Nazioni Unite.
Se poi il delitto è commesso in un periodo sacro diventa ancor più odioso perché offende il culto custodito nel profondo di ogni anima.
Siamo nella settimana santa che celebra la Pasqua cristiana (passione di Cristo), la Pasqua ebraica (liberazione degli ebrei dall’Egitto e la migrazione in Terrasanta), il mese sacro di Ramadan (precetto islamico in ricordo della prima rivelazione del Corano).
A Gerusalemme, città sottratta nel 637 al dominio di Bisanzio dal califfo Omar, considerata santa dagli arabi, dagli ebrei e dai cristiani, esiste la più grande concentrazione di luoghi santi, venerati da oltre 2 miliardi di fedeli.
Il punto più delicato della città è la cosiddetta spianata delle moschee, complesso considerato sacro da tutti i musulmani, terzo in ordine di importanza dopo la Mecca e Medina con la moschea di al Aqsa e la moschea della Roccia, costruite intorno all’anno 700, che possono ospitare fino a 10 mila persone.
Ad osservare la sacralità del luogo non sono solo i musulmani, ma anche gli ebrei perché sul lato ovest della spianata sono ancora in piedi i resti del muro del tempio distrutto da Tito e tuttora luogo di pellegrinaggio degli israeliti da ogni parte del mondo che pregano e piangono per la distruzione del tempio e la diaspora (perciò detto muro del pianto).
Anche i cristiani hanno una particolare venerazione per un sacrario poco più oltre: la via dolorosa, il monte degli Ulivi e la chiesa del Santo Sepolcro (la cui conquista diede origine a varie crociate e nel XIX secolo alla guerra di Crimea tra Russia e Impero Ottomano).
Tanto basta per considerare tutto il complesso come luogo in cui non dovrebbe essere consentito alcun uso della forza e nessun impiego di armi o strumenti di offesa.
Invece proprio il giorno della Pasqua ebraica gravi incidenti, documentati da filmati che hanno fatto il giro del mondo, hanno generato raccapriccio per la violenza e la brutalità con cui la polizia e l’esercito israeliano hanno colpito a sangue i fedeli musulmani che osservando una delle cinque preghiere del giorno non volevano sgomberare il sito per fare posto ad alcune centinaia di integralisti ebrei ortodossi che volevano appunto visitare i luoghi.
La spianata era piena di musulmani, incluse donne e bambini. Intimoriti dalla brutalità delle forze dell’ordine si sono asserragliati nella moschea di al Aqsa contando sulla inviolabilità del luogo sacro; invece la polizia vi ha fatto un’irruzione armata con bombe assordanti, lacrimogeni, proiettili di gomma e manganelli. Con inusitata violenza ha ridotto in fin di vita parecchi palestinesi (più di 200 feriti e 450 arrestati) considerati a tutti gli effetti, come scriveva Frantz Fanon “i dannati della terra”.
Per loro, vittime dell’usurpazione violenta del territorio da parte di Israele, non c’è fine al dolore, all’oppressione, al sacrificio, alla negazione della libertà e dell’indipendenza, ma solo muri, divieti, repressione e segregazione che dura dal 1967, con divieto di realizzare uno stato indipendente previsto dalle risoluzioni dell’ONU.
Lo stesso Segretario Generale Guterres pur avendo espresso il proprio raccapriccio è diventato una figura patetica, privo di qualsiasi capacità di intervento, nel silenzio della grande stampa, della UE e delle Cancellerie internazionali che non sono andate oltre qualche scarno comunicato per invitare le parti alla moderazione.
L’Italia non ha fiatato.
L’AUTORE
Torquato Cardilli – Laureato in Lingue e civiltà orientali e in Scienze politiche per l’Oriente. E’ stato Ambasciatore d’Italia in Albania, Tanzania, Arabia Saudita ed Angola. Ha redatto oltre 300 articoli di carattere politico ed economico pubblicati in Italia e all’estero da varie testate ed agenzie di stampa.