L’età della crescita, del PIL come misuratore delle nazioni appartiene al passato. Il debito è stato fino ad ora un’arma potentissima, più di qualunque ordigno nucleare, nelle mani della politica. Debito e circences. Datemi un debito illimitato e costruirò qualunque cosa, produrrò ogni nuovo manufatto, edificherò il ponte di Messina. Uno strumento superiore alla leva di Archimede che con un punto di appoggio permetteva di sollevare il mondo. Il tetto del debito non esiste, abbiamo vissuto per decenni in una casa senza tetto. Può essere infatti innalzato a piacere da Obama, o ignorato da Tremorti.
I politici hanno disposto di risorse illimitate, ma inesistenti, metafisiche e su di queste hanno edificato il loro potere e modellato una società dei consumi nella quale i cittadini hanno ipotecato il futuro per beni non necessari. Tutto questo è giunto al capolinea. La crescita per la crescita è una bestemmia, un furto di energie, tempo, pensieri. Perché crescere? Per quale fottuto motivo bisogna lavorare come schiavi per 40 anni e più e poi morire? Per i profitti delle multinazionali? Per la politica elettorale dei partiti legati mani e piedi alle lobby? Per un pianeta con una percentuale di super ricchi da prefisso telefonico e masse di miliardi di diseredati? Che significato ha questa crescita? Nessuno. Un ubriacamento collettivo, un sabba infernale del debito eterno senza risorse spacciato a piene mani da economisti irresponsabili come una droga. La politica è nuda. Il debito era la sua assicurazione sulla vita. Non c’è più. Prima e dopo il debito. Ora bisognerà misurarsi con la realtà, guardarsi allo specchio e progettare un mondo migliore. L’eccesso di lavoro, la diminuzione del proprio tempo, la distruzione dell’ambiente sono figli bastardi della crescita e del debito. Oggi mi sento ottimista. Il 2011 è il primo anno di un nuovo mondo.