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Passaparola: Salviamo l’Italia con la Blue Economy, di Martin Blake

beppegrillo.it - Agosto 24, 2015

“Buongiorno a tutti, mi chiamo Martin Blake e attualmente mi trovo in Italia, non lontano dal confine svizzero e dal lago di Como e con grande piacere condivido con voi alcune idee inerenti la Blue Economy, per vedere se possiamo creare un centro delle migliori prassi in questa zona”.

Blog: Può spiegare cos’è la Blue Economy?

Martin A. Blake: “La Blue Economy è una filosofia che può abbracciare diverse idee, e che si basa su una visione sistemica. Si tratta di una filosofia che aiuta le persone, l’ambiente e l’economia a costruire la capacità di resilienza e la sostenibilità all’interno delle comunità. Può aiutare a costruire imprese sociali che lavorino con materiali disponibili localmente. Può agevolare la produzione di merci e servizi, l’agricoltura e la produzione di qualsiasi materiale necessario. È la filosofia generale che mira all’eliminazione dei rifiuti dal sistema per renderlo più efficiente; in natura non esistono rifiuti pertanto neanche nella Blue Economy vi sono rifiuti, ma solo risorse. E alcune risorse possono essere prese da una produzione e utilizzate in un’altra, ma non eliminate, né bruciate o interrate: devono essere utilizzate in modo da poter essere valorizzate, creando opportunità di lavoro e salvaguardando l’equilibrio ambientale”.

Blog: Qual è la relazione tra Green Economy e Blue Economy?

Martin A. Blake: “In natura le cose evolvono nel tempo e possono diventare più sofisticate: come, ad esempio, lo studio della medicina è diventato più sofisticato, la stessa cosa vale per lo studio della sostenibilità e della resilienza e adesso sappiamo che esiste un approccio più sofisticato alle questioni, basato sulla visione sistemica. Si tratta di una metamorfosi della Green Economy in Blue Economy, pertanto esse sono collegate nel tempo, ma una si è evoluta in un modello sistemico più sofisticato che adotta una visione olistica piuttosto che una singola visione lineare”.

Blog: Ascoltando le sue parole, si potrebbe essere portati a pensare che la Blue Economy sia il futuro, ma lei potrebbe rispondere che non è il futuro, ma il presente.

Martin A. Blake: “Potrei dire tre cose: posso dissentire? Con educazione. Direi che è il futuro, che deve essere il futuro perché il presente come lo stiamo strutturando non è resiliente e certamente non è sostenibile. Può essere adottata nel presente e proviene dal passato. Nel passato le piccole comunità funzionavano così: non c’era spazzatura, non c’era disoccupazione, la gestione era in mano alle persone, che avevano la loro ecologia e la loro rete commerciale e lavoravano senza produrre rifiuti. Pertanto proviene dal passato, è stata dimenticata e disimparata nel presente e noi dobbiamo impararla di nuovo e applicarla con l’aiuto di moderne tecnologie e progressi tecnologici quali la stampa 3D, una straordinaria soluzione per decentralizzare la produzione centralizzata! Si può realizzare la stampa 3D in un villaggio, in un cottage, in una casa, creando un’impresa sociale che andrà a supportare l’economia locale. Non è necessario produrre tutto in Cina o in Germania: si può produrre ovunque, pertanto dobbiamo imparare nuovamente a creare aziende locali, imprese sociali di proprietà della comunità, in cui tutte le risorse siano utilizzate senza produrre rifiuti; ciò le renderebbe più efficienti e di conseguenza produrrebbero più ricchezza e abbondanza per la comunità, senza distruggere o danneggiare le risorse naturali del pianeta”.

Blog: E come si applica tutto questo in riferimento al cibo?

Martin A. Blake: “Il cibo è un aspetto intrinseco della Blue Economy, perché si vuole produrre il cibo dove è necessario. Ci siamo allontanati dalla produzione di cibo e vino e olio (intendo l’olio d’oliva, non il petrolio), ci siamo allontanati dalla produzione locale scegliendo una produzione centralizzata e i piccoli coltivatori hanno sofferto non perché il loro prodotto non fosse buono, non perché fosse impagabile, ma perché il metodo di produzione non rispondeva alle esigenze delle aziende più grandi e della finanza e della grande agricoltura: dobbiamo imparare dal passato che la resilienza è nei cluster di produttori riuniti in una cooperativa piuttosto che nelle grandi aziende, che in caso di problemi nella loro catena di fornitura falliscono con un grande impatto. Se hai una piccola azienda, ma collegata a tante altre, esse possono supportarsi a vicenda perché nessuna ha interesse al fallimento di un’altra. Si sosterranno e aiuteranno tra loro nelle difficoltà, proprio come succedeva in passato e come dovremo imparare a fare per il futuro: stiamo imparando dalla saggezza del passato, con il supporto della tecnologia del futuro”.

Blog: Parlando di futuro, in Italia abbiamo gravi problemi di disoccupazione: che cosa pensa della Blue Economy e delle nuove professioni?

Martin A. Blake: “Se guardiamo ai principi fondamentali della Blue Economy, uno degli obiettivi principali è la creazione di occupazione e lavoro proficui per le comunità in cui le persone vivono: non stiamo provando a risolvere il problema scegliendo il male minore, del tipo: “Vuoi un lavoro? Vai a fare il cameriere a Roma, lontano da casa e dalla tua famiglia”. Noi diciamo: “Perché non possiamo utilizzare (e in che modo) i principi della Blue Economy per creare occupazione a livello locale, attraverso imprese sociali e innovazioni”. E la risposta è: “Sì, possiamo. Possiamo utilizzare le risorse disponibili per creare abbondanza, benessere, felicità e per ridurre l’impatto sull’ambiente della produzione di massa su larga scala”.

Blog: In che modo si può aiutare a divulgare i valori della Blue Economy?

Martin A. Blake: “Nella storia vi sono diverse fasi che si ripetono. Quando si comincia a parlare di un approccio diverso, all’inizio la gente non ci crede. Poi, gradualmente, le persone in grado di comprendere che può funzionare ma che può anche minacciare lo status quo faranno in modo che sembri una sciocchezza, o che sembri irrealizzabile, o troppo costoso o troppo difficile. E poi, progressivamente, le persone cominciano a vedere e a riconoscere la bontà del nuovo approccio: “Funziona! È così che dobbiamo fare!”. Io non voglio combattere il modello esistente: è troppo difficile. Quello che dobbiamo fare è creare un nuovo modello che renda obsoleto quello precedente. Quando le persone si accorgeranno di quanto è obsoleto, l’abbandoneranno, aderendo al nuovo sistema. Pertanto non voglio criticare, o combattere, o litigare riguardo al vecchio sistema. Quello che vorrei fare è creare esempi di buone prassi, modelli di buone prassi capaci di attirare le persone. Mi piace molto aiutare l’Italia e gli italiani a tornare alle origini del lavoro nei campi; processi sviluppatisi in migliaia di anni, adesso vengono progressivamente abbandonati non per problemi legati alla terra o alle metodologie di lavoro: è il grande sistema delle banche, della finanza, della catena di fornitura, della grande distribuzione, dei mercati internazionali a mettere in difficoltà i piccoli fornitori e la piccola industria. Dobbiamo aiutarli a tornare alle origini e a unirsi secondo i principi della Blue Economy ed è in questo che potete aiutarmi, ok? Verrò qui tutte le volte che sarà necessario e mi tratterrò per tutto il tempo che ci vorrà, ma dobbiamo guidare le persone verso il nuovo modello. Si tratta di un modello che supporta un nuovo modo di essere, un nuovo modo di lavorare e un nuovo modo di vivere, che fa sì che le persone abbiano rispetto di se stesse, che fornisce loro autonomia e il controllo del loro futuro: esse non saranno più soggette al controllo di altri, da uffici lontani da loro migliaia di chilometri”.

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