di Beppe Grillo – Si avvicina il secondo anniversario della pandemia ed è tempo di fare un bilancio. Dai dati ufficiali raccolti dalla Johns Hopkins University risultano poco meno di trecento milioni di contagiati e sei milioni di deceduti. Ma secondo l’Economist i numeri reali sarebbero nettamente superiori: per stimarli ha calcolato l’eccesso di mortalità dei singoli paesi rispetto ai dati storici, concludendo che il numero reale dei deceduti sarebbe più del triplo, cioè (a oggi) circa venti milioni. Sono numeri importanti, anche se inferiori al numero dei decessi causati dall’Aids, stimati in circa quaranta milioni, sebbene su un arco temporale di più di quarant’anni. Di questo passo, però, basterebbero due anni per superarli e un altro anno per superare quelli dell’influenza spagnola, che causò circa cinquanta milioni di morti.
Senonché, la distribuzione dei contagi e dei decessi varia di paese in paese, in parte per il clima o l’età media degli abitanti, in parte per le strategie adottate per contrastare la pandemia. Così il numero dei decessi rispetto alla popolazione è molto basso in gran parte dei paesi africani e abbastanza basso in gran parte dei paesi del continente indiano e del sud-est asiatico, probabilmente per il clima temperato e la bassa età media della popolazione, anche se, sempre secondo l’Economist, i dati reali sarebbero sottostimati. Il numero dei decessi rispetto alla popolazione è invece alto o molto alto in gran parte dei paesi sviluppati. Alcuni di essi hanno però limitato molto il numero dei decessi, fra cui Australia, Cina, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Singapore. Fra questi spicca soprattutto la Cina, che ha il numero di decessi più basso al mondo rispetto alla popolazione: un dato ancor più incredibile se si considera che ospita circa un quinto della popolazione mondiale. La strategia di questi paesi è stata definita di “contagi zero o tendenti a allo zero”. Per attuarla non è bastata un’unica misura, ma è stato necessario agire su più fronti, vale a dire: applicazione rigorosa del cosiddetto metodo 3T (i.e. testing, tracing and treating); modulazione dei confinamenti e dei permessi di spostamento anche attraverso gli incumbent digitali; controlli e quarantene per gli ingressi dall’estero; campagne di vaccinazione; lockdown selettivi e tempestivi nelle aree in cui emergono nuovi focolai.
I paesi che hanno adottato la strategia di contagi zero o tendenti allo zero hanno non solo sofferto un numero molto inferiore di decessi, ma, secondo uno studio di Mckinsey, sono anche ritornati più velocemente alla (quasi) normalità. Tuttavia, con l’arrivo delle ultime varianti molti ritengono che questa strategia non sia più sostenibile, e occorra dunque rassegnarsi all’idea di convivere con una diffusione endemica del virus. L’unico paese al mondo che continua a perseguire questa strategia sembra essere la Cina, anche se la diffusione del virus nei paesi che la hanno prima adottata e poi mitigata resta molto bassa.
Il fatto che la strategia di contagi zero o tendenti allo zero non sia più sostenibile potrà forse consolare i governanti che non la hanno mai adottata, ma il costo che hanno imposto ai loro popoli resta comunque altissimo. Inoltre la convivenza con una diffusione endemica del virus non è risolvibile solo con l’estensione dei vaccini, come sostiene da mesi Luca Ricolfi. Occorrono altre misure restrittive, che sostanzialmente sono versioni più o meno attenuate della strategia di contagi zero o tendenti allo zero. Ciascuna implica limitazioni di diritti umani che nei paesi occidentali sono generalmente considerati “inviolabili”, fra cui il diritto all’inviolabilità del corpo, alla libertà di circolazione, alla privacy, e così via. Questi diritti sono fra i capisaldi delle democrazie liberali, e per questo la loro restrizione è estremamente critica.
Non esistono gerarchie fra diritti umani, ma è normale che la restrizione di alcuni di essi ci colpisca più di altre. Così, per esempio, la restrizione del diritto alla privacy tende a disturbarci meno della restrizione del diritto all’inviolabilità del corpo. Sennonché, per quelle adottate dalle democrazie occidentali per contrastare la pandemia sembra che si sia seguito un percorso inverso. Sicché molti governi hanno considerato con più leggerezza l’introduzione di un obbligo di vaccinazione, che riguarda l’inviolabilità del corpo, che quella di un obbligo di tracciamento, che riguarda la privacy.
Nelle restrizioni di diritti questi diritti ci sono poi due questioni che incidono in modo rilevante sulla loro estensione ed efficacia.
La prima è se debbano sfociare in “oneri” piuttosto che “obblighi”: le misure relative al green pass e al super green pass sono oneri per accedere all’esercizio di determinati diritti, analoghi alla necessità di disporre di patente per poter guidare. C’è chi dice che questi oneri siano un modo “surrettizio” per introdurre obblighi, o come direbbero più elegantemente gli economisti anglosassoni, dei “nudge” per esercitare una “spinta gentile” alla vaccinazione; tuttavia è indubbio che un onere, almeno formalmente, preserva la libertà di scelta. Dunque, sul piano delle restrizioni dei diritti umani, l’imposizione di un onere è certamente meno problematica che quella di un obbligo.
La seconda è se debbano competere a scelte del governo centrale o delle organizzazioni e/o delle comunità a cui si riferiscono. Essere soggetti a controlli del governo centrale, e ancor più a trattamenti sanitari obbligatori, evoca immagini orwelliane che pesano molto psicologicamente. Viceversa, lasciare decidere alle organizzazioni e/o alle comunità quali misure adottare appare nel pieno spirito di un ordinamento liberale e democratico. Senza contare che la quasi totalità di queste organizzazioni e comunità finirebbe probabilmente per adottare misure ben più restrittive di quelle che potrebbero essere ragionevolmente adottate da un governo centrale.
Il bilancio delle strategie adottate da gran parte dei paesi occidentali è dunque deludente. In primo luogo, perché quasi nessuno di essi ha adottato una strategia di contagi zero o tendenti allo zero, sopportando costi sociale ed economici molto superiori a quelli dei paesi che la hanno adottata. In secondo luogo, perché si sono limitati a puntare tutto sulle vaccinazioni, quando è ormai evidente che questa sola strategia non possa bastare. In terzo luogo, perché hanno sottovalutato le implicazioni delle restrizioni sia sul piano di diritti umani che sono capisaldi delle democrazie liberali, sia sul piano dei loro metodi di attuazione, che ben avrebbero potuto rispettare meglio la libertà di scelta degli individui e delle organizzazioni e delle comunità a cui fanno capo.